martedì 30 luglio 2013

Tutti contro le donne

Negli ultimi mesi abbiamo assistito a degli episodi raccapriccianti che coinvolgono donne impegnate politicamente: Laura Boldrini, Cecile Kyenge e Josefa Idem, rispettivamente presidente della Camera e ministri del governo Letta sono state sottoposte ai più vili attacchi: insulti, inviti alla violenza su di loro,volgari lanci di banane. Questo soprattutto in virtù del loro essere donne, del loro essere identificate da certa gente come esseri “deboli” incapaci di un'intelligenza sufficiente a consentigli di occupare i posti che occupano. Dà fastidio che queste siano donne di sinistra, ma soprattutto donne competenti arrivate in posti di prestigio grazie alle loro qualità e del loro lavoro. Tutte e tre si sono fatte strada nel mondo, la Boldrini all'ONU, la Kyenge come medico e amministratrice locale e la Idem come atleta, portando lustro a questo paese quando faceva comodo avere un commissario per i rifugiati italiano e vincere medaglie d'oro alle Olimpiadi; ma nel momento in cui queste stesse donne "mettono il becco" nella vita politica del paese, proprio perchè in gamba, sono viste come un pericolo. Non lo erano certo la Gelmini e la Carfagna, che sicuramente non avevano la stessa competenza (basta confrontare i curriculum) e per il posto in Parlamento hanno dovuto ringraziare un uomo. Buona parte degli maschi di questo paese non è in grado di accettare la competenza delle donne e si scaglia con questa cieca, insensata e brutale violenza per un semplice meccanismo di superiorità di genere che non accetta che una donna possa essere sua pari (se non superiore). Certo, anche alla Carfagna qualcuno ha scritto: “Ti buttiamo nella spazzatura” e non deve essere perdonato; tuttavia, paragonato a quanto è stato detto, urlato alla Kyenge (che ha proprio il ministero che fu della Carfagna) anche da persone che (ahimè) rivestono un ruolo istituzionale (e che nessuno ha fatto niente per far dimettere), suona come una minaccia di tirarti gavettoni di acqua e farina. E se c'è anche una donna che lancia questi insulti dementi non può che far rabbrividire, perchè significa che anche tra le donne c'è chi si trova d'accordo con la logica maschilista e che ritiene che le donne dovrebbero “stare al loro posto”.
E' questo il clima mostruoso in cui viviamo in Italia: coloro che denunciano decine di volte l'ex marito che le segue e le minaccia, spesso non ricevono alcun aiuto dalla polizia e una sera si trovano l'uomo in casa, che le accoppa e poi (bontà sua) si suicida. Mentre nei talk show in tv e sui giornali si sprecano a consigliare alle vittime di stalking di denunciare i loro persecutori, il senato italiano abolisce l'arresto per lo stalker.
Mi viene in mente “L'ultima eclissi” -tratto dal libro di Stephen King “Dolores Claiborne”- anche lì una donna era vittima di un marito violento e pedofilo che non voleva permetterle di essere autonoma e tentava di schiacciarla psicologicamente e fisicamente. Dolores ha dovuto imparare una lezione che oggi sembra sempre più urgente far propria, se si è donna bisogna accettare di doversi difendere da sole, perchè nessun altro lo farà.
Finchè questo paese non uscirà dal suo medioevo morale, finchè lo Stato e anche la chiesa non smetteranno di accettare che cose come queste accadano finchè le donne non saranno più consapevoli della loro importanza, dei loro diritti e della gravità di quanto accade, l'Italia resterà sempre un'italietta (la minuscola è d'obbligo), meschina e bloccata in un patetico passato che ormai esiste solo nella testa di certa gente.


domenica 21 luglio 2013

Is there a cure for the Summertime Blues?

Ultimamente riconosco una pericolosa ripetitività nella mia vita. Verso marzo, prima di Pasqua, comincio a sognare le vacanze e per maggio sono già febbricitante all'idea di mollare tutto e scappare dalla città. Quest'anno sono arrivata a giugno con un esaurimento nervoso, quindi anche il fatto di non partire per le vacanze (problemi di babysitteraggio di Lena) non mi ha sconvolto più di tanto (anche se mi dispiace per Speck, lui voleva tanto andare in Grecia), l'importante era non andare più in classe e non affrontare certe dinamiche di stress per un po'.

Purtroppo mi ero dimenticata di un'altra fase ricorrente che ogni anno puntuale si verifica. Infatti, appena calato il furore lavorativo e l'euforia dei primi giorni di libertà con le pizzate, i pomeriggi con le amiche, il riappropriarmi del territorio casalingo con pulizie di fino e magari una notte horror a casa del Pizza, mi sento sprofondare in una malinconia terrificante.
E' come se tutti i dubbi e i momenti difficili superati nell'anno scolastico appena concluso riemergessero dal recente passato come il Mostro dalla Palude Nera... Mi chiedo se sia normale ridursi tutti gli anni così, mi dico che avrei fatto meglio a lavorare meno e andare un po' in palestra. Mi chiedo se avrò abbastanza lavoro e la forza di ricominciare a settembre. Ancora peggio, dopo qualche giorno la prospettiva depressiva si allarga a dismisura e diventa un bilancio di vita. Ho fatto bene a non fare figli? Ho fatto bene a scegliere questa strada lavorativa? E' ancora qualcosa che mi piace fare? Ha senso quello che sto facendo? Il centro della mia vita può non essere il lavoro? Dov'è la reale gratificazione? Ha senso farsi queste domande? 
Ogni anno prendo la decisione di pensare di più a me,di fare passi misurarti e non farmi più coinvolgere tanto dalle dinamiche scolastiche, mi riprometto di pensare a me stessa. F ogni anno mi ritrovo a fare lo stesso giro. Sto iniziando a stancarmi, mi sento come un criceto che corre disperatamente dentro la sua ruota senza andare da nessuna parte. Mi duole dirlo, ma comincio a sentire la stanchezza nel corpo, anche se so che è qualcosa che deriva più dal mio stato mentale che effettivamente dall'età.

Insomma, non me la godo mai l'estate. In effetti non è mai stato un periodo particolarmente atteso, se non per le vacanze. So che queste crisi sono salutari, guai ad essere troppo sicuri o far finta che vada tutto bene, ma mi rendo conto di essere bloccata e vorrei che il prossimo anno fosse veramente diverso, dare una svolta a questa confusione, pensare a cose diverse, dire cose diverse e fare cose diverse, divertenti e che abbiano un senso. Non so se ci riuscirò, ma peggio ancora, ormai non so neanche se ci proverò.

mercoledì 3 luglio 2013

Gemella Ciambella inorridisce: "The Future" di Miranda July

Una sera della settimana scorsa, zappando tra un canale e l'altro, io e Brötchen capitiamo per caso sui titoli di testa di "The future", il secondo lungometraggio di Miranda July.
A me, nonostante la condanna di Frittella, Pizza e della mia amica Pirrogena, il film precedente, "Me you and everyone we know", era piaciuto. Sara' stato il momento storico in cui l'ho visto ma mi ero sentita partecipe della lunaticita' dei personaggi e del guardaroba di Frau July. Dopo aver letto (2011) recensioni mega positive su "The future" avevo una buona aspettativa. Premetto che ho visto il film tradotto in tedesco.
Il film inizia con Sophie, un'insegnante di danza per mocciosetti (Miranda July) e Jason (Hamish Linklater) un lavoratore di call center da casa, seduti sul divano, ognuno preso col suo mac book. Dopo un breve ma intensamente verboso dialogo, Jason dice di poter fermare il tempo e i due giocano come se la cosa fosse vera, fino a che un cliente di Jason telefona.
Sophie e Jason decidono, forse per noia, di dare un senso alla loro vita adottando un gatto dal rifugio locale. Adottano un micino malato di reni e all'inizio sono giubili: renderanno gli ultimi mesi di vita della creatura memorabili. La veterinaria pero' trattiene il peloso per un mese in cura e li informa che se il cucciolo verra' curato con le dovute attenzioni (praticamente costanti), potrebbe sopravvivere anche cinque anni. Improvvisamente i due si fanno prendere dal panico: non avevano pensato di doversi impegnare per cosi tanto tempo.
Tornati a casa i due iniziano a blaterare sul tempo, sul futuro, sul fatto che essendo entrambi 35enni, quando il gatto sara' morto e loro potranno "ricominciare a vivere", saranno gia' 40enni e i 40 sono i nuovi 50. Improvvisamente si trovano a fare i conti con due vite buttate:a 35 anni non hanno un lavoro come lo vorrebbero (anche se magari non sanno nemmeno quale potrebbe essere) e una sensazione di ineluttabile fallimento li inghiotte.

A questo punto i due hanno una geniale idea: usare questo mese che gli resta di "vita" per cercare di cambiare la loro esistenza. Jason butta alle ortiche il lavoro e dopo poco anche Sophie si licenzia. Jason trova "lavoro" come venditore di alberi e fa amicizia con un aziano signore che scrive poesie oscene e dispensa buoni consigli. Sophie telefona ad un numero trovato su un foglio di carta ed entra in contatto con un uomo single sui 45 anni che vive nella periferia borghese con la figlia di circa 10 anni. Il tipo sembra uscito da Twin Peaks, superficialmente normale ma sottilmente perverso. Sophie va a letto con lui e inizia una relazione.
Intanto il gatto, dalla sua gabbietta, interviene qua e la' (con una vocetta inquietante e fastidiosa) per filosofeggiare sul tempo e l'universo.
Da qui in poi tutto precipita, il rapporto tra i due protagonisti si corrode fino alla rottura. 

Ho aspettato con ansia il momento in cui il film avrebbe fatto il salto, avrebbe preso quella strada che mi avrebbe fatto dire "Bello", in cui questo marasma di idee avrebbe offerto la soluzione della vicenda e invece quel momento non e' arrivato, il film e' finito e io ho rimpianto di averlo visto. 

Miranda July e' solo al suo secondo lungometraggio ed e' nota come artista multimediale, performance artist, etc. Che i suoi film (e probabilmente anche le opere artistiche) non siano per "tutti" ci sta, tuttavia questa volta anche io che ero sua fan, l'ho trovata indigeribile.
Dato che ho vissuto una situazione di sbandamento e mi misuro ogni giorno sulle incognite del mio futuro, direi che e' lo spunto iniziale ad essere ridicolo: mentre l'eta' media delle persone si e' allungata ed in realta' si e' giovani piu' a lungo, i due personaggi, come vivessero agli albori del 1800, pensano che a 35 anni sei gia' all'anticamera della vecchiaia. In realta' i 40 sono i nuovi 30!
Inoltre, in un periodo in cui moltissime persone cambiano la loro vita buttando alle ortiche il lavoro e re-iniziano da un viaggio, da una attivita' indipendente o facendo una follia, i due protagonisti restano a casa o cercano un nuovo lavoro (passano da una schiavitu' all'altra). Tutto cio' e' anacronistico e autistico, soprattutto oggi giorno che la mobilita' tra i paesi e' diventata una quotidianita'.
Nei dialoghi i personaggi spiegano tutto ma non risolvono niente: sono cosi irritanti e imbarazzanti che bisogna proprio far forza su se' stessi per continuare a guardare il film.
Allo stesso modo ci sono tantissime scene lasciate inconcluse e senza l'effetto finale. Qualcuno l'ha definito ellittico, a me sembra incompleto. E di fatti anche il finale e' un "nulla di fatto": il gatto, dimenticato dai due al rifugio, viene soppresso (pratica purtroppo in voga negli USA), Sophie torna a casa e Jason la lascia dormire li' una notte. Sara' davvero cosi? oppure i due si riconcilieranno? Di fatto ritornano da dove erano partiti.

Miranda July dissemina ovunque scenette di „realismo magico“, come Jason che ferma il tempo per impedire che Sophie finisca di parlare e lo lasci; la maglietta preferita di Sophie che, dotata di vita propria, la segue fino a casa del suo amante; i racconti del gatto; una sequenza esilarante con Sophie che alla reception della scuola di danza vede le sue amiche restare incinta, avere i figli, crescerli e infine i figli adulti che a loro volta hanno figliato, dandole in pochi secondi l'impressione che lei restera' sempre al „via“. Tuttavia queste „scenette surreali“ restano freddi esercizi di stile e aumentano solo la snervante sensazione di inconcludenza.
Irrita la piattezza e la freddezza dei personaggi, la loro inettitudine e mancanza di emozioni, il loro dibattersi in una sola espressione facciale. Miranda July abusa del suo status: ci sbatte in faccia il suo look da flapper girl anni 20', i suoi occhi da cucciolo che chiede protezione, la sua boccuccia a cuore, il suo corpo anoressico. Spesso le scene in cui e' coinvolta, diventano uno showcase delle sue performance (come la scena della maglietta) e sembra farsi della sottile publicita'. Sembra perennemente fragile ed insicura, tanto che si desidera darle un calcio nel sedere per farla reagire. E' onnipresente e fa tutto, anche la voce (FASTIDIOSISSIMA) del gatto.

Miranda July sa di avere un senso dell'umorismo „Witty and Wimsy“, sa che il suo surrealismo affascina ma il dubbio e' che ne sia troppo conscia e ne stia abusando. Quanti film riuscira' ancora a fare prima che anche i suoi fan piu' accaniti si stufino? Piu' che poliedrica, rischia di diventare una „artista confusa“ in grado di fare una cosa sola ma con mille tecniche diverse (Film, performance, scrittura, etc.). Guardate per esempio il suo sito e il blog del film: non pensate che voglia dire e fare troppo? Non vi disturba, come disturba nel film, questo costante bisogno di spiegare e di creare e definire concetti e letture recondite? Il simbolismo lo hanno usato molti grandi registi ma non in modo cosi manierista e narciso.
Miranda July mi ricorda un gruppo musicale americano, i They Might Be Giants: ogni loro disco contiene piu' di 24 canzoni, tutte brevi, tutte con uno stile diverso, tutte surreali e con un codice da decifrare. Mi sono piaciuti molto ma dopo il quarto disco mi sono stufata perche' non c'era un'evoluzione nel loro lavoro, nonostante cambiassero strumentazioni e arrangiamenti il concetto era sempre lo stesso del „mercatino delle pulci“. Allo stesso modo le opere di Miranda July minacciano di essere tutte piccoli gioielli di surrealismo e comicita' se presi singolarmente ma insieme formano solo un guazzabuglio senza capo ne' coda, senza uno sviluppo. Esattamente come i suoi personaggi, la July non si evolve, non cresce artisticamente.
Il film, in un periodo di cosiddetta „crisi mondiale“ (che pure nel 2011 era gia' avanzata) e' anacronistico, autistico, pessimista piu' del dovuto, presenta due personaggi apatici ma un pubblico che tocca tutti i giorni la miseria e la paura del futuro, che deve per forza avere coraggio, non puo'che disprezzarli e trovare il film una pirlata.

Se potessi parlare con lei, signora July, la incoraggerei ad uscire e camminare nel mondo: esca dal suo bozzolo, dimentichi le sue opere incentrate solo su se stessa e sul suo mondo autistico. Si apra al mondo vero, si trovi COLLABORATORI per i suoi progetti. Combatta il suo bisogno di protagonismo per essere riconosciuta e in qualche modo amata. 
Il mondo e' pieno di gente fantastica e lo scambio ALLA PARI e' necessario per non restare in una bacheca al museo dei picchiatelli, con una etichetta eternamente appiccicata addosso. Cerchi la passione, si INNAMORI, si distacchi dal concettualismo, faccia qualcosa lontano dal suo "personaggio".
Si evolva.

Interessante: un blog di odio verso Miranda July.

A message to you, Miranda