mercoledì 31 dicembre 2014

2014 al cinema con Gemella Frittella

Speck non ama andare al cinema (“E' troppo buio, si può solo guardare il film”): meno male che ho delle amiche cinefile, grazie alle quali quest'anno ho battuto il mio record di visioni cinematografiche, ben 7!!! Tenete presente che a volte non vado al cinema per anni interi, quindi non fate quella faccia. E siccome di “A proposito di Davis” e “Her” ho già parlato in questo post, vi lascio alle mie impressioni sulle altre cinque pellicole...

Grand Budapest Hotel
Sono rimasta sorpresa dall'atteggiamento di sufficienza che alcuni miei amici hanno nei confronti di Wes Anderson e dei suoi film. Mi è veramente difficile immaginare come non si possa apprezzare la sua fantasia visiva e cromatica, le sue trame che si espandono come ragnatele e trovano sempre una chiusura “rotonda”, la sua gentile malinconia. “Grand Budapest Hotel” è forse l'apice della sua opera sin qui, in cui tornano i temi favoriti dell'orfano, dei genitori adottivi e dello sradicamento esaltati da colori sfavillanti (rosso, viola, rosa) e da un cast fantastico: Ralph Fiennes, Tilda Swinton, Bill Murray, Edward Norton, Harvey Keitel, eccetera, eccetera. Compaiono in ruoli inaspettati, anche solo per un cameo, come ci ha abituato Anderson. La storia dell'aspirante fattorino Zero e della fantasmagorìa di personaggi che ruota intorno a lui è ispirata alle opere dello scrittore Stephan Zweig, autore austriaco di origini ebraiche che raccontò lo splendore culturale dell'Europa precedente alla Seconda Guerra Mondiale, di cui il Grand Budapest Hotel è simbolo. Il suo declino è quello dell'anima dell'Occidente, che ancora oggi esibisce inconsciamente le cicatrici di quel conflitto. “Grand Budapest Hotel” è un caledoscopio colorato e divertente che dissimula i drammi del mondo e delle persone, che racconta il passato e -anche se non sembrerebbe- il presente.

Gigolò per caso
John Turturro, quasi raggiunti i 57 anni (e nel migliore dei modi), voleva realizzare due sogni: 1) lavorare con Woody Allen e 2) fare il figo almeno per una volta. Così ha messo insieme un film incredibilmente somigliante come struttura a quelli di Totò e Peppino degli anni 50-60: una trama leggera (per non dire esile), e innegabilmente soporifera in cui si muove con l'aria stupita di uno che non ci crede a quanto sta rendendo felici ricche donne annoiate, spezzata dalle surreali incursioni comiche di Woody, forse non improvvisate come quelle del nostro comico nazionale, ma allo stesso modo i soli momenti in cui ci si risveglia dal torpore. Curiosa l'ambientazione nel quartiere ebreo ortodosso e la famiglia mista di Allen, due particolari che cercano di dare un minimo di brio ma purtroppo trattati superficialmente. Spaventosa Vanessa Paradis con un'enorme parrucca e due occhi da acido che fanno paura. Il trailer è più che sufficiente.

Maps to the stars

Da sempre David Cronenberg usa corpi e paesaggi per distorcere la realtà. In “Map to the Stars” si serve del panorama fittizio di Hollywood e delle membra ustionate di Agatha Weiss, una giovane scampata a un incendio da lei stessa appiccato, che vi si reca per cercare la propria famiglia. Il suo arrivo nella città delle stelle mette in moto un inesorabile meccanismo Tolemaico che svela la natura profonda e orribile dei suoi abitanti, e trasformerà la ragazza in un catalizzatore attraverso cui l'ineluttabile tragedia (e redenzione) si compiranno. Utilizzando i meccanismi e gli archetipi del teatro greco Cronenberg costruisce il film attorno al nucleo di un mistero che non verrà risolto. Mia Wasikowska e Julianne Moore fantastiche.

In ordine di sparizione
Nils è un uomo pacifico, ha una famiglia e guida uno spazzaneve col quale mantiene praticabili le strade attorno a un villaggio in Norvegia. Suo figlio, che vive in città, viene coinvolto per errore in un regolamento di conti tra spacciatori di droga e ucciso. Nils decide di vendicarsi e con l'incoscienza della disperazione e la fortuna dei principianti finirà per scatenare una faida sanguinosa tra la mafia locale (responsabile della morte del figlio) comandata dal “Conte” (elegante, psicopatico e vegano) e quella serba, agli ordini di un fantastico Bruno Ganz. Divertente, paradossale e sanguinoso, “In ordine di sparizione” si avvicina per certi versi alle opere dei Fratelli Coen, mantendo però un'autonomia di stile del tutto nord europea. Peccato sia stato poco valorizzato dal circuito delle sale cinematografiche, toccherà recuperarlo in dvd.

Magic in the moolight
Mai sottovalutare il genio di Woody Allen, mai farsi ingannare dall'apparente leggerezza delle trame, dai giganteschi occhi blu della giovanissima protagonista, dal fascino (e dalla splendida pronuncia inglese) di Colin Firth, dalla luce calda della Costa Azzurra: la mano è più veloce dell'occhio e mentre vi incanta con una messa in scena semplice ma di sicuro effetto, vi serve una mano di tarocchi sul destino dell'uomo, sulla morte e sul senso dell'amore e della vita. L'universo è un gelido, spaventoso baratro? Forse. Ma allora perché torturarsi nella consapevolezza? Meglio l'illusione, meglio credere a una favola che alla terribile realtà. Forse. L'abilità, l'esperienza (e le domande) di un regista ottuagenario e la levità (qualcuno la chiamerebbe “freschezza”) di un ventenne si combinano in un gioco di specchi tanto classico da far credere al pubblico di essere prevedibile. Ma anche questo, come l'elefante che scompare nella scena iniziale, è un trucco, una magia che alla fine ci sorprenderà. Bello, anche in lingua originale.


sabato 27 dicembre 2014

Christmas, the days after

Allora, eccoci qui. Scartati i regali, ripuliti i piatti, salutati i parenti. Ciambella e Brotchen sono partiti alla volta di Amburgo dove hanno festeggiato con la famiglia di lui, mentre io e Speck stiamo mettendo mano agli avanzi e godendoci i nostri regali. Tra quelli più gustosi i Bootleg Series n. 10 e 11 di Bob Dylan e un paio di scarpe vegane super stilose. Tra i libri due classici francesi: "Lo straniero" di Camus e "Thèrése Raquin" di Zola. Mentre Lena sonnecchia, fuori infuria una bufera di neve. Quest'anno devo dire che il palinsesto televisivo mi sta deludendo: a parte "Una poltrona per due" trasmesso alla Vigilia da Italia Uno, mancano all'appello tutti i classici del periodo, da "Tutti insieme appassionatamente" ai "Ritorno al futuro" alle commedie americane degli anni 40-50 in bianco e nero...Sembra che i canali televisivi non risentano del periodo festivo, il che m'infastidisce. Sinceramente il Natale televisivo dovrebbe essere rassicurante, ripetitivo, immobile. I film e i cartoni animati classici dovrebbero tramandarsi di generazione, con aggiunte per restare al passo coi tempi, ma con alcuni punti fermi, come quelli citati sopra. Invece ecco come sempre l'ispettore Cordier e SOS Tata su La7, i War Movie del sabato su Rai Movie e gli Affari di Famiglia su Cielo. Meno male che ci sono i dvd, mi affiderò a quelli.
Ogni tanto accendo la radio e ascolto qualche dibattito sulle candidature per la Presidenza della Repubblica. Il pubblico sembra seguire tutto la linea della disperazione: telefonano proponendo nomi anche condivisibili ma del tutto improbabili (Gino Strada, Tina Anselmi...) e tutti ci tengono a specificare che i politici gli fanno schifo. Da una parte mi posso associare, dall'altra mi sento un bel po' stufa di queste lamentele. E' evidente che la vita va in una direzione e la politica in quella opposta, detto questo mi sto convincendo che meno mi preoccupo di questa gente meno potere avrà sulla mia vita. Illusione? Non lo so. Penso che persone come Gino Strada siano quello che sono anche per questo motivo, fanno quello che devono e che vogliono fare senza preoccuparsi della politica. Credo che se tutti smettessimo (io per prima) di farci trascinare dall'emotività del momento...ne gudagneremmo. Intanto fuori continua a nevicare...
Ci attendono ancora il Capodanno e poi l' Epifania, quindi Buone Feste, gente!

venerdì 10 ottobre 2014

Sostegno per caso

Per il quarto anno consecutivo seguo un adolescente sordo in qualità di assistente alla comunicazione. E per il quarto anno consecutivo le lezioni iniziano con una diversa insegnante di sostegno. A guardarla da fuori è una situazione che ha dei lati innegabilmente comici. La prima docente non tornò sul sostegno per un grave problema personale. Peccato, aveva undici anni di esperienza coi disabili e anche se di sordi non sapeva granché, fu estremamente efficace. La seconda, nominata alla fine di novembre dopo una giostra di persone annunciate, apparse per qualche giorno e poi sparite o mai presentatesi, era una dilettante allo sbaraglio, piena però di buon cuore e buona volontà, capace di empatia e di sacrificio (fin troppo). Lavora tuttora sul sostegno, ma non col mio allievo. Lo scorso anno finalmente è arrivata una docente con abilitazione, tutti i titoli, e perfino (udite udite) con esperienza sul campo. Anche lei non era preparata in tema di sordità, ma almeno giocava sullo stesso campo. Peccato che abbia deciso di rimanere incinta, così -forse- rientrerà a marzo. Ma forse no. Ed eccoci giunti al presente anno scolastico: dopo quasi un mese dall'inizio è arrivata la supplente del sostegno, è una giovane (anche se non giovanissima) insegnante di chimica e come molti suoi colleghi ha chiesto di passare sul sostegno per contingenze alimentari. Ieri, mentre in un'aula vuota le spiegavo, ingobbita, con le occhiaie profonde e una sensazione di stanchezza e di deja vù, in cosa consiste "il caso" (come vengono identificati i disabili dagli operatori), mentre guardavo il suo viso inespressivo su cui lineamenti fini emergeva il panico e mi ascoltavo mescolare conoscenze generali sui sordi e particolarità del ragazzo e dipingere un quadro che mi rendo conto possa creare terrore in un novellino, mentre rispondevo senza neanche più scandalizzarmi alla sua domanda: "Ma non sarebbe stato meglio in una scuola speciale?" (per la cronaca la risposta è: "Lo Stato ha chiuso quelle scuole e stabilito che i disabili devono essere integrati nelle scuole normali"), mi è venuto in mente il titolo di questo post. Perchè troppo spesso si finisce a fare sostegno per entrare nella scuola e sopravvivere in attesa di passare di ruolo, e si vede. Si vede di tutto, dagli insegnanti di sostegno con disturbi relazionali che vanno affiancati da un collega in consiglio di classe, a quelli che prendono il loro compito per una vetrina per dimostrare i loro poteri di redenzione della disabilità, a coloro che ne fanno una questione di potere e basta, agli absolute beginners che non sanno perchè ci sono capitati in questo mondo e ti guardano, come è capitato a me, smarriti. Come smarrito è il mio studente, che si trova a ricominciare tutto daccapo per la quarta volta. Penso che sia terribile studiare per fare qualcosa e poi trovarsi catapultati in un tutt'altro per cui non siamo preparati e magari neanche portati; è vero, moltissimi fanno un lavoro diverso da quello per il quale hanno studiato (anche io), ma timbrare fatture anziché recitare non è lo stesso che trovarsi ad essere responsabili di un altro essere umano, per di più in una condizione di fragilità. E' snervante e ingiusto non solo nei confronti del lavoratore ma anche e soprattutto dei disabili, che  nel souk delle nomine scolastiche finiscono per perdere totalmente la centralità di cui invece dovrebbero godere, subiscono lo stesso stress di chi li dovrebbe sostenere e dipendono dalla fortuna per trovarsi affiancati da un docente competente o almeno dotato di equilibrio e buona volontà. Succede anche agli studenti cosiddetti normodotati, tuttavia loro sono comunque in una posizione di vantaggio, perché hanno più mezzi per recuperare i danni di un "cattivo maestro". Un disabile ne ha meno, e se a un pessimo professore curricolare si aggiunge un sostegno altrettanto pessimo o incapace o impreparato o svogliato, il disabile è fottuto: passerà tutto il ciclo scolastico a fare compitini facili facili, nessuna sfida, nessun obiettivo, nessuna caduta e nessuna resurrezione. E le conseguenze sulla sua vita di cittadino saranno devastanti.
In un mondo dominato dalla legge della domanda e dell'offerta accade che a fronte di un'enorme richiesta di sostegni non ci siano vantaggi per chi sceglie di specializzarsi in questo tipo d'insegnamento e la conseguenza è la situazione attuale. La mancanza di considerazione per gli allievi disabili che hanno dimostrato i governi che si sono succeduti negli ultimi (almeno) vent'anni, si appoggia, giustifica e sfanga le responsabilità nell'idea che sta al fondo di ogni cervello italiano: chi si occupa di disabili c'ha la vocazione. Non deve essere professionale, basta che sia buono e si prenda a cuore il povero disabile. Quest'idea assurda deve essere estirpata dalla nostra cultura, perché tutti i docenti si affezionano ai loro allievi (alcuni almeno), ma il loro lavoro deve essere prima di tutto fatto bene. Altrimenti non se ne esce.                                                                                                                 Non ho ancora letto il documento "La buona scuola" che il governo si appresta a proporre, discutere e votare, mi riprometto di farlo e spero di trovarci qualche misura che ridia dignità al sostegno scolastico. Non ci spero troppo, però.

sabato 20 settembre 2014

Un'estate col golfino

Quest'anno la permanenza estiva alla dacia è durata di più, grazie al ritardato inizio della scuola. Inutile dire che, a causa delle avverse condizioni meteorologiche, abbiamo passato un sacco di tempo a casa, a pisolare, leggere, cucire...ma senza grandi entusiasmi. Anzi, considerando che quest'anno non avevo neanche esami da preparare per l'università ho fatto veramente poche cose rispetto a quelle che mi ero prefisse (la latitanza su questo blog ne è prova). Mi ero portata decine di stoffe progettando un intero nuovo guardaroba e alla fine ho cucito una gonna e iniziato un paio di pantaloni; ho riempito una valigia di libri e ne ho letti uno e mezzo; ho ingolfato lo zaino di matite e pennarelli e non ho disegnato un tubo...insomma, la pigrizia ha avuto la meglio sulla mia produttività.

Venendo ai gatti, Romeo è arrivata alla nostra porta un pò dimagrita e abbiamo passato l'estate a ingrassarla a dovere. Per la prima volta ho anche avuto occasione di vederla a caccia, mi ha ammazzato un passero sotto gli occhi e che dire, è la natura, mica posso dirle che non si fa, è una questione di sopravvivenza. Però fa impressione. Macchianera si è presentato con una ferita dietro l'orecchio. Non so cosa gli sia successo, ma è molto più scontroso dello scorso anno, ci sono voluti quasi due mesi perchè ritornasse a strusciarsi sulle gambe mentre ci chiedeva la pappa.
Verso la metà di luglio poi, sono comparsi dei nuovi gatti: la gatta e il gatto rosa, due fratelli praticamente indistinguibili, e due piccolini molto invadenti che hanno dato parecchio filo da torcere a Romeo, che quando si tratta di difendere il suo territorio diventa una vera tigrotta. Per qualche giorno le risse si sono susseguite coinvolgendo anche me (ho rimediato una botta unghiata da Romeo, diretta ad un altro gatto). Meno male che una vicina (la proprietaria dei gatti rosa) si è portata a casa i piccoli, ristabilendo la pace nel cortile.
Per Lena invece, Speck quest'anno ha recintato tutto il giardinetto posteriore della dacia (una specie di grossa aiuola rettangolare), e la piccola ha molto apprezzato, pretendeva di uscire anche quando pioveva o c'era stato qualche temporale che aveva trasformato la terra in un piccola palude.
Un capitolo a parte lo merita la Miciccia, che purtroppo ha avuto un peggioramento nelle condizioni di salute. Non è più una giovincella, e abbiamo temuto per lei, ma grazie alle cure dei nostri genitori, per ora tiene botta. Durante la permanenza nelle montagne bergamasche è migliorata, e adesso l'andremo a trovare.

Veniamo all'Università. Lo scorso anno ho avuto una botta di depressione, in cinque anni ho 9 esami, tutti passati, alcuni anche brillantemente, tuttavia troppo pochi per giungere al traguardo della laurea entro i 50 anni. Inoltre, essendo la sede così lontana, seguire le lezioni è veramente difficile. Così avevo deciso di cambiare facoltà e università, Quindi, due settimane fa sono andata a Venezia per fare il passaggio a Milano. Obiettivo Lingue e Letterature Straniere. Procedura veloce, ma non indolore. Lasciare Venezia era per me una sconfitta, ma...diciamo che non vedevo alternative.
POI, martedì scorso sono andata a immatricolarmi.
Entro, prendo il mio numerello: 60, 45 persone davanti a me. Pazienza, aspetterò. Mi siedo e dopo un pò una tipa mi chiede un'informazione. Le rispondo e questa mi dice: "Ma ti rendi conto che mi hai già risposto due volte? Non sono idiota!". Le ho girato le spalle pensando che forse idiota non era, ma maleducata certo sì. Quando infine è venuto il mio turno, la botta finale: l'impiegata non è stata certo maleducata, ma sembrava quasi che le desse fastidio che mi volessi iscrivere. Infine, il pagamento per l'immatricolazione dovevo farlo in contanti. Tragedia. E' questa l'università di una città che si bulla di ospitare l'Expo mondiale? Che si definisce EUROPEA? La città di piazza affari piena di banche? Contanti?
Se prima ero depressa, ora ero in un pozzo di disperazione. Non ho perso tempo e ho scritto subito a Cà Foscari chiedendo di ritirare la richiesta di trasferimento. Sembra che tutto andrà a posto e io tornerò gaiamente a far la spola con Venezia. Che figata.

mercoledì 20 agosto 2014

Pasqualino

Purtroppo m'è arrivata oggi una bruttissima notizia, Pasqualino se n'è andato. Dopo la fallita convivenza con Lena lo scorso anno era stato affidato ad una signora che lo andava a visitare nell'appartamento della sua padrona per dargli da mangiare e qualche coccola. Aveva la finestra aperta e trovandosi al piano terra era scappato. Lo avevano cercato per settimane e quando ormai non ci speravano più lo avevano ritrovato a casa di una coppia anziana. Quest'anno si era trovata una persona che lo teneva a casa sua e finalmente le cose sembravano sistemate, ma improvvisamente ha smesso di mangiare e in breve si è spento. Aveva contratto la leucemia felina. Era un gattino avventuroso e affettuosissimo, ne aveva passate non poche ma si è fatto amare. Buon viaggio piccolino, ci rivedremo.

giovedì 14 agosto 2014

Quando il titolo cambia tutto o quasi: “Cena tra amici” ovvero “Le Prenom”

Questa commedia francese ha fatto una fugace apparizione nelle sale cinematografiche italiane totalizzando un discreto ma non entusiasmante numero di spettatori. L'opera di Matthieu Delaporte e Alexandre De La Patellière è stata avvicinata a "Carnage" di Roman Polanski, ma a parte il fatto di essere tratti da piece teatrali -di cui conservano l'impianto narrativo e scenografico- e di basarsi su una progressiva spoliazione (o l'esagerazione) delle premesse iniziali dei personaggi, le due opere hanno abbastanza poco in comune.

Pierre ed Elisabeth invitano a cena Vincent (fratello di quest'ultima), sua moglie Anne e l'amico Claude: una riunione che sembra essere consuetudine tra persone che si conoscono bene e si frequentano dall'infanzia. Anne è incinta, e la domanda che viene subito fatta a Vincent riguarda il nome del nascituro. Da qui inizia una discussione infinita che porterà a una serie di rivelazioni e di confessioni che minacceranno seriamente la loro amicizia.
Spiegata così la trama, potreste già arrivare a capire quale sia il nucleo attorno al quale si sviluppa la storia. Ma per me che non conosco il francese e non avevo nemmeno fatto caso alla sigla iniziale in cui non sono riportati i cognomi dei protagonisti e di tutti gli altri collaboratori, tutta questa faccenda del nome del bambino che si trascina per un'ora e mezza di film sembrava un pò troppo pretenziosa e pesante, e terminata la visione mi sentivo di aver perso qualcosa. Grazie al cielo internet c'è, ed è bastata una breve ricerca per trovare il tassello mancante: il titolo. Sì, lo so, nella sigla di testa si può leggere quello originale, tuttavia non è tradotto ed è così diverso da quello italiano da far pensare di non avere importanza. Invece, è proprio "Il nome" il perno di tutta la vicenda, che a partire da un'innocente -anche se pesante- scherzo, crea le condizioni per un epocale litigio che non finirà le amicizie nè i matrimoni, ma certo ne metterà in luce le ambiguità nonchè i lati oscuri dei personaggi, con una serie di divertenti equivoci e ironiche stilettate all'intellighenzia borghese e militante della gauche.

Vincent, Anne, Claude, Elisabeth, Pierre
Non c'è qui l'intento di smontare le strutture sociali borghesi basate sulle apparenze e le buone maniere che si ritrova nel film di Polanski nè la ferocia del testo di Yasmina Reza, la sensazione di claustrofobia, e nemmeno l'invincibile e oscura attrazione-repulsione che tiene legate le coppie (anche per una questione numerica, Claude, l'ospite single, è un neutro che rompe la simmetria) in modo che pur odiandosi non riescono gli uni ad andarsene dalla casa degli altri, e questi a cacciare definitivamente gli ospiti. Le premesse sono totalmente diverse e quello che accade prende di sorpresa il gruppo che è legato da sentimenti forti, mentre nel quartetto di Polanski si sente immediatamente una tensione insopportabile. Jules di "Pulp Fiction" direbbe che non si tratta nemmeno dello stesso campo di gioco, tuttavia è facile cadere nell'equivoco, viste le premesse e quel titolo che scompagina tutto e trasforma una pellicola arguta e
intelligente in una commedia divertente ma un pò verbosa della quale non s'intuisce lo scopo e non si gustano appieno i riferimenti e il finale, con la scelta del nome definitivo del neonato. Certo, nonostante l'apparente affinità culturale con i cugini Francesi i modi della loro comicità a volte mi sono oscuri, ma è evidente che chi ha distribuito il film in Italia ci ha poco creduto, magari per la mancanza di nomi noti da queste parti e per il fatto che fosse tutto costruito sul dialogo, con poca (anche se fulminante) azione. Un'occasione persa che dimostra come ogni particolare sia importante e da non trascurare quando si crea un prodotto culturale, e che insegna allo spettatore (se ancora ce ne fosse bisogno) di non fidarsi troppo della traduzione dei titoli in italiano.

domenica 20 aprile 2014

Le audaci teorie scientifiche di Gemella Ciambella: come evitare la sovrappopolazione pacificamente.

Oggi faro' di tutto per essere seria, poiche' cio' che vi scrivo e' veramente inteso con serieta'.

Come sapete sia io che Frittella siamo due sfegatate fans della natura: animali, piante, rocce troveranno sempre santuario da noi. Vedendo come vanno le cose purtroppo a volte c'e' da chiedersi se non siamo troppi, noi esseri umani.

Pensiamoci ragazzi, quanti siamo? tra i 6 e i 7 miliardi, and counting...! Siamo davvero troppi.
La terra ha risorse limitate e mi pare che le abbiamo gia' sfruttate fino quasi all'esaurimento. Vero, le risorse basterebbero probabilmente per tutti se non ci fossero i soliti che vogliono sempre avere piu' degli altri ma gia' secoli fa ci si chiedeva se la popolazione umana non fosse troppa. Ricordo la storia di un filosofo inglese del 1800 (credo), di cui purtroppo non ricordo il nome, il quale desiderava reincarnarsi in una malattia infettiva per mietere un po' questa fastidiosa pestilenza chiamata umanita'.

Senza andare cosi nel macabro (ormai quelli che ci sono, ci sono), dato che anche le guerre non ci piacciono e fame ed epidemie tanto meno, e' chiaro che bisogna agire sulle generazioni a venire.
L'uso degli anticoncezionali per quanto utile e' boicottato alla grande da diverse religioni e a volte addirittura ignorato da chi per tradizione o ignoranza, vuole fare un sacco di figli.

E allora, cosa fare? come risolvere un problema cosi spinoso in modo elegante e senza adirare le societa' tradizionaliste? Ma certo, la risposta e' LA TECNOLOGIA!!

Pensateci: quanto tempo passiamo davanti alla TV invece di fare sesso? quanto siamo distratti nella nostra societa' da Internet, computers, videogiochi e smart phones?
E cosa fanno nei paesi dove queste comodita' non ci sono o sono rare e ancora costose, dove Internet non e' WIFI o high speed?

BINGO! Fanno sesso e figli! Certo i figli si fanno anche per amore ma quanti arrivano per caso o perche' non c'era nient'altro da fare quella sera di gennaio?
E allora ecco la mia idea: inondiamo i paesi piu' prolifici, con tecnologia a basso costo, diamo loro la benedizione di free internet nei posti pubblici, wifi, apps come se piovesse! E vediamo poi i risultati!
Sicuramente con una popolazione mondiale minore, ci sarebbero piu' risorse e benessere per tutti.
Lo dice anche Bansky...
Che ne dite? non e' una grande idea? E' da provare! e anche se avessi torto...nessuno ci avrebbe rimesso niente! E nessuna religione o credenza sarebbe offesa.

Pero' se funziona voglio il nobel per la pace.

Per il Pizza: so che stai rabbrividendo ma la scienza deve fare il suo corso.

Buona Pasqua!

domenica 30 marzo 2014

Double bill con Gemella Frittella, "A prososito di Davis" e "Lei"

La vostra Frittella non frequenta il cinema quanto vorrebbe, ma ogni tanto capita di andarci e per film notevoli come quelli che seguono...

Hang me, oh Hang me! A proposito di Davis di Joel e Ethan Coen

Uscendo dal cinema dopo aver visto “A proposito di Davis” per la prima volta, la mia amica Tiziana è perplessa. Bel film, certo, fatto bene...ma...? A dire, ne avevamo proprio bisogno? A cosa volevano arrivare i Coen Bros raccontando la storia surreale e sfortunata di Llewin Davis, musicista folk nella New York degli anni 60?
Io che il film lo vedevo per la seconda volta (e se continuasse ad essere in cartellone probabilmente tornerei a vederlo) so come si può sentire: lo svolgersi degli avvenimenti sembra non avere picchi, e come in “A serious man” o “Fratello dove sei?” ci sentiamo un po' defraudati della normale struttura narrativa di un film (specialmente se americano). I fratelli Coen vengono citati soprattutto per pellicole scoppiettanti, violente e surreali come “Fargo”, “Il grande Lebowsky”, “Non è un paese per vecchi”, ma hanno anche un lato estremamente filosofico: così, “A serious man” era un'evidente citazione delle peripezie di Giobbe, “Fratello dove sei?” dell'Odissea di Omero, e “A proposito di Davis” sta a metà tra queste due ispirazioni.
Siamo nel 1961, la musica folk sta vivendo una nuova stagione in contemporanea con la rinascita della consapevolezza civile nei giovani. Manca poco al debutto di Bob Dylan, che già si aggira per il Village (il suo primo album omonimo è proprio del 1961), e Llewin Davis è uno dei tanti folk singers che suonano al Gaslight Cafè, nuovo tempio del genere. L'attacco nella prima inquadratura di “Hang me, oh Hang me” ci presenta un personaggio che si sente fuori posto dovunque: dalle navi cargo dove lavorava, al Village dove sogna di sfondare (forse), è ipercritico e perennemente insoddisfatto da ciò che gli tocca ascoltare. Le canzoni dei suoi colleghi sono malinconiche ballate che vagheggiano una povertà e una solitudine mai vissute, gli sguardi degli spettatori, giovani intellettuali impegnati a sembrare più che ad ascoltare, sono rapiti da qualunque cosa possa essere hip, ma Llewin, che povertà e solitudine invece le conosce bene, non riesce a farsi incantare dall'atmosfera, e all'entusiasmo degli amici per le esibizioni risponde assentendo con una mancanza di convinzione che nasconde a malapena il suo disappunto: “Aha”.
In effetti, a parte il gestore del locale (lui sì, veramente cinico) che qui assume il nome di Pappi Corsicato (?) è l'unico a non vivere su una nuvoletta rosa. Sotto la patina dorata della leggenda tramandata e dell'entusiasmo che doveva esserci allora nell'aria, trapela la sensazione di una posa, di una finzione che bene o male tutti gli altri personaggi hanno accettato di farne parte. L'amico Jim si finge musicista impegnato ma è un giovanotto di buona famiglia che sa bene che per sfondare bisogna scrivere canzonette, e non ha vergogna di farlo (e di inciderle!); l'agente Mel offre il proprio cappotto allo squattrinato Llewin per poi ritirare l'offerta appena questo accetta; Jean (compagna di Jim) si fa mettere incinta sempre da Llewin (forse) per poi trattarlo malissimo, come se lei non fosse stata nemmeno presente quando è successo il fattaccio. La sorella finge che nella loro famiglia sia andato sempre tutto bene, ma è evidente che le cose non stanno così. Tutti in qualche modo recitano una parte, cercando di mostrare qualcosa e di nascondere qualcos'altro. Solo Llewin e il gatto dei Gorfein -sua coscienza, una sorta di Grillo Parlante molto più simpatico- sono sempre sinceri, con tutti. E per questo motivo il protagonista diventa a sua volta coscienza e spalla di una giostra di caratteri che gli vengono incontro come massi su una strada in discesa e che presi tutti insieme (come purtroppo capita al nostro eroe) sono veramente allucinanti. Il culmine però è l'incontro con Johnny Five -poeta beat- e Roland Turner, musicista jazz con la spocchia dei musicisti Jazz. Il viaggio che insieme a loro Llewin compie verso Chicago è una vera sofferenza, percepita quasi fisicamente anche dallo spettatore che assiste incredulo a quanto il protagonista deve subire, e quando chiede alla cameriera di un autogrill quanto manca a Chicago e lei risponde “Tre ore” ci sentiamo veramente gelare il sangue.
Nonostante il freddo, la fame, e gli sfiancanti compagni di abitacolo va avanti, aggrappato alla sua musica, che forse è l'unica cosa di cui sia sicuro, anche quando il famoso produttore Bud Grossman gela le sue speranze.
Se di solito i film dei fratelli Coen traboccano di cinico humour nero, qui possiamo permetterci solo una risata amara e incredula. Llewin, così casinista, testardo, forse presuntuoso ma puro, resta nel cuore, persegue la sua strada anche se sa che ci sarebbero scappatoie, che la vita non premia i coraggiosi e che di questo passo non arriverà da nessuna parte. Lo sa, e nessuno si esime dal ricordarglielo, dall'acida Jean a Grossman (“Non hai la stoffa del leader”), ma non riesce a fare a meno di seguire la propria strada, per quanto rovinosa e deludente. E anche quando cerca di ritornare ad una vita “regolare”, al lavoro “serio” del marinaio per poter almeno mangiare, non può tornare indietro, ma solo proseguire verso il suo destino.
Per chi conosce la musica di Bob Dylan e il cinema di quel periodo il film è anche un delizioso catalogo di ammiccamenti e citazioni che permettono di leggere la storia su diversi piani, uno strettamente legato alle vicende di Llewin e l'altro alla storia dell'impegno civile e del movimento sia musicale che politico degli anni 60.

Dietro l'apparente semplicità e linearità “A proposito di Davis” cela una ricchezza di caratteri, di considerazioni sul destino e di paradossi, anche temporali, invidiabile. Costruito su quanto non si dice piuttosto che su quanto viene detto e mostrato, ha una sceneggiatura mirabile, una musica meravigliosa, e due straordinari personaggi, Llewin Davis (Oscar Isaac, bravo anche come cantante), e il gatto. E ti resta dentro per tantissimo tempo, come una canzone che non riesci a smettere di cantare alla quale scopri di esserti terribilmente affezionato.

Llewin Davis

e...Gatto...?


L'amore ai tempi dell'Ipad: Lei di Spike Jonze

“Essere John Malkovich” era un film bizzarro, divertente e a tratti disturbante, che ci fece conoscere il genio (oserei chiamarlo così) di Spike Jonze e la sua concezione dell'identità individuale (?) e dei rapporti amorosi. Ritroviamo questi stessi temi alla base di “LEI”, una storia d'amore (come gridato dai poster) ma non solo, interpretata da un Joaquin Phoenix carino carino e (nella versione originale) da un'incorporea (per la tristezza dei suoi fan) Scarlett Johansson.
Theodor Twombly fa lo scrittore di lettere, tiene la corrispondenza personale di chi per tempo o per scelta non riesce a scrivere ai propri cari. Passa la sua giornata a dettare a un computer frasi piene d'amore e nutrire gli affetti altrui mentre la sua vita, da quando la moglie lo ha lasciato, è praticamente priva di contatti umani, serrata tra il lavoro e la casa, un gigantesco appartamento quasi vuoto immerso in una città dove sembra non crescere un filo d'erba e tutto lo spazio è occupato da giganteschi grattacieli. Theodor passa le ore libere giocando con videogiochi olografici con i quali può addirittura dialogare e il suo vero unico compagno di vita è un aggeggio simile ad un telefono cellulare col quale comunica grazie a un auricolare: una voce elettronica lo guida, gli legge le sue mail, lo introduce in (disastrose) chat sexy, eccetera. In pratica parla da solo. La sua solitudine termina il giorno in cui decide di installare nel suo computer OS, un sistema operativo a intelligenza artificiale che -differentemente da Windows, Linux e Apple- è in grado di imparare ed evolversi. L'effetto è immediato, Theodor inizia subito a dialogare con la voce che viene dal computer (che si sceglie il nome di Samantha) e grazie all'auricolare (e ad un fantastico sistema W-Lan, Wi-Fi e tutto il W che potete immaginare) se la porta sempre appresso. Dapprima parlano del più e del meno, lei gli riordina le mails e lui le chiede aiuto per correggere alcune lettere. In pochissimo tempo però diventano amici inseparabili e da lì iniziano una verae propria relazione sentimentale.
Un rapporto tra materiale e immateriale, tra un uomo e un'entità elettronica, non fisica è un'idea vertiginosa e di per sé molto poco cinematografica che Spike Jonze affronta in ogni sua sfumatura, anche la più difficile e paradossale. Non si tira indietro neanche di fronte alla resa di una scena d'amore tra un uomo in carne ed ossa e una voce, pur per la sottoscritta poco convincente, ma certamente coraggiosa. Tutti i dubbi, le incertezze, le felicità di questa storia d'amore vengono raccontati e -come nella vita di tutti noi- i rapporti di forza cambiano continuamente e la fine è sempre qualcosa di ignoto e sorprendente.
L'idea è intrigante, di quelle che covano nell'inconscio di tutti e che aspettano solo che una sensibilità superiore e coraggiosa le peschi per noi dal profondo. Il mondo in cui si muove Theodor, pulito, caldo, morbido, in cui non esistono guerre né povertà ma solo solitudine è lo specchio inquietante del presente tecnologico, in cui le persone sono immerse in un perenne soliloquio con telefoni e computer e i gradi di separazione tra esseri umani si moltiplicano esponenzialmente; la scelta dell'ambiente, una città di edifici altissimi lucidi e immobili, sempre più opprimente e insopportabile man mano che la storia procede è illuminata dalla luce di un sole amico e dai colori delle camicie di Theodor; la splendida, veramente splendida fotografia riesce a creare un'atmosfera sospesa, un mondo come uno spot della Apple ma più sognante. Sotto certi punti di vista “Lei” è un capolavoro.
Joaquin Phoenix sogna...e noi sogniamo lui!

Purtroppo però questo film colleziona una serie di difetti quasi imperdonabili. Il più grave, soprattutto se consideriamo che ha vinto alcuni premi come miglior sceneggiatura originale, è proprio nella scrittura: troppa, ridondante, stucchevole. I personaggi parlano continuamente, in pratica non esistono spazi di silenzio. I dialoghi tra Samantha e Theodor sono dolciastri, complimentosi e affettati, ricordano quelli di certi spot di biscotti e merendine, e la mancanza di sostanza fisica di Samantha è sostituita da una valanga di inutili spiegazioni e parole. Credo che il termine “Dolce” sia il più ricorrente, come sei dolceche dolce, roba da diabete fulminante. Per non parlare delle lettere che scrive Theodor, altra botta glicemica che rischia di stendere. Le emozioni sono telefonate, l'ellissi e il non detto defungono, c'è una sovrabbondanza di descrizioni di sentimenti che li rende didascalici e artificiosi, a cui corrisponde anche un'esagerazione di sequenze che mostrano “ioeilmioamorequantocidivertiamoinsieme” (del tipo musica di sottofondo e vari spezzoni su come Theo e Sam passano il tempo) che hanno il sapore delle bibite gasate che promettono un mondo migliore. Volendo difendere a tutti i costi Jonze si potrebbe dire che in linea con l'ambientazione sceglie, oltre ad un'immagine da spot anche un linguaggio da spot. E' innegabile però che questo stile appesantisca mostruosamente la narrazione. Sembra che il regista abbia abbandonato il suo bizzarro umorismo o gli abbia dato una forma troppo complessa per essere riconosciuta con relativa facilità.
Joaquin Phoenix oltre che carino carino è anche bravo bravo, ma non abbastanza per reggere il peso attoriale di un copione del genere, in cui per il 90% del tempo parla con una fidanzata invisibile. E' sicuramente anche colpa dei dialoghi, ma -anche se non è carino carino- al suo posto io ci avrei visto meglio Bill Murray, che s'era già caricato sulle spalle “Lost in Translation” portandolo ad un ottimo livello. Chissà, con un regista come Jonze, cosa sarebbe riuscito a fare.
Lei, proprio LEI, Samantha, nella versione italiana è insopportabile. Micaela Ramazzotti ha uno spiccato accento romano, ma se fosse solo quello la potremmo pure perdonare. Il problema è che non convince per niente. Non trasmette nessuna emozione sincera (che sarebbe di regola il compito di un attore) impegnata com'è a cercare di imitare la voce leggermente roca di Scarlett Johansson, quella che conosciamo dagli spot di “Dolcie e Gabana” (e che di per sé non mi ha mai particolarmente emozionata) e a pronunciare “Theodor” all'americana. Tutto quello che vorremmo è lasciarci trascinare e sommergere dalla bellezza delle immagini, ma siamo continuamente infastiditi dal cicaleccio della Ramazzotti, al punto che in certi momenti vorremmo scappare dalla sala. Qui non sarei in grado di fare un nome per una sostituta, ma sono certa che con la voce giusta il film avrebbe funzionato meglio.

Molto bene e molto male insomma. Non so dirvi quanto mi dispiace, perchè -ripeto- questo film poteva davvero essere un capolavoro. Vale comunque la pena di andarlo a vedere.
“Lei” è adesso e sempre, è la solitudine universale e profonda dell'uomo, un essere molto più limitato di quello che crede, che non dipende dalle nostre differenze “di costruzione”, bensì dalla creazione stessa che ci ha condannati.  

sabato 22 marzo 2014

Gemella Ciambella fa un viaggio nel passato: "Amateur" di Hal Hartley

"Amateur" di Hal Hartley fu uno dei piu' grandi successi del cinema indipendente dei nebulosi anni 90' e nonostante io abbia sempre voluto vederlo non ci sono mai riuscita (bo', forse ho speso tutti i miei soldi in film come Seven e Fight Club).
La settimana scorsa la TV tedesca mi ha finalmente dato la possibilita' di guardare questo film, una volta per tutte, o quasi.

La storia: un uomo, Thomas, si sveglia in una strada, dopo un volo fuori da una finestra e dopo essere stato abbandonato sul selciato da una misteriosa donna.
Egli non ricorda piu' chi sia, entra in un cafe', dove cerca di ordinare da mangiare ma ritrovandosi nelle tasche solo soldi olandesi, non viene servito. In suo aiuto appare una cliente, Isabelle, che gli offre un pranzo e lo invita a casa sua per medicargli le ferite. Thomas accetta.
Entrati in confidenza, Isabelle racconta a Thomas di essere una ex suora, ninfomane ma ancora vergine, che si guadagna da vivere scrivendo romanzetti pornografici. Intanto Sofia, la donna che ha lasciato Thomas a terra, e' in fuga da dei loschi tipi ma il suo destino incrociera' presto quello di Isabelle e Thomas.

Ho trovato la storia interessante e sufficientemente appassionante, anche se dalle prime scene avevo gia' capito come sarebbe finita (tuttavia ho sperato fino alla fine in un colpo di scena). Il punto centrale del film non sembra essere nemmeno la storia ma i personaggi: ognuno di loro ha una biografia abbastanza incredibile e si muovono in uno scenario di fatti ancora meno plausibili con una notevole sicurezza. Nessuno di loro si fa troppe domande, vivono come in una realta' alternativa.
La storia e' raccontata con humor flemmatico e un po' di surrealismo, tipico forse degli anni 90' (Clerks, Leningrad Cowboys), dove i lunghi silenzi valgono come battute e sottolineano lo stupore di fronte a certe situazioni.

"Amateur" mi e' piaciuto ma probabilmente mi sarebbe piaciuto di piu' anni fa.
Non si puo' non sorridere di fronte ai cellulari grandi come cabine telefoniche e a certi vestiti. Il tipo di narrazione, l'incredibilita' di certe scene ha funzionato sicuramente prima ma in qualche modo non mi ha convinto oggi...forse e' il montaggio, oppure semplicemente era un film "giovane" e non tutti hanno il talento per la leggerezza di Aki Kaurismaki. Il film vive della performance dei suoi attori: Isabelle Huppert e Martin Donovan sono a loro agio nei panni di Isabelle e Thomas, mentre Elina Löwensohn e Damian Young si muovono sopra le righe e portano avanti la narrazione, prendendo decisioni sbagliate una dietro l'altra.
Isabelle Huppert brilla e si distingue per la sua "europeicita' ", impossibile da nascondere in un ambiente cosi "americano".




Mi piacerebbe vedere altri film di Hal Hartley, anche perche' si e' sicuramente evoluto da allora. E' autore anche della trilogia di "Henry Fool" e facendo una ricerchina ho scoperto che e' ancora molto attivo ed e' forse l'ultimo vero indipendente del cinema americano: attraverso la sua compagnia Possible Films, scrive produce e distribuisce le sue pellicole.
Il suo nuovo film dovrebbe uscire quest'anno ed e' stato finanziato attraverso Kickstarter.

Per saperne di piu', ecco il sito di Possible Films: http://www.possiblefilms.com/

venerdì 28 febbraio 2014

La pedagogia e Gemella Ciambella

Forse non tutti sapete, che qualche volta insegno video ai bambini di una scuola elementare.
La scuola ha un paio di alberi in giardino.
Oggi entro in classe per fare la mia lezione ed entrano i primi bambini. Dato che la temperatura dei termosifoni era regolata su "ben cotto-croccante", uno dei ragazzi apre la finestra per rinfrescare l'ambiente.

Improvvisamente rientra l'insegnante che mi ha preceduto e intima "No, no! non aprire cosi tanto la finestra!!"
e poi ci spiega che "davanti alla finestra corrono spesso gli scoiattoli! Sono incontrollabili e se mordono portano la RABBIA! E i bambini poi si spaventano!".

A questa spaventosa rivelazione, il mio cervello ha prodotto i seguenti pensieri:

-Oooooh, scoiattoli, che caaaaaariniiiiiiiii!!
-La rabbia?! che sciocchezza, piuttosto non vorrei che uno scoiattolino restasse prigioniero nella classe,
 sarebbe terribile!!
-Da quando in qua i bambini sono spaventati dagli scoiattoli?!
-Gli scoiattoli, che caaariniiiii!
-Un attimo, allora abbiamo gli SCOIATTOLI MANNARI qui a scuola? Maccheffigata!! John Carpenter ci farebbe un film fichissimo!
-E poi gli scoiattoli sono cosi caariniiii!

Per fortuna pero', nessuno mi ha potuto leggere nel pensiero.

domenica 16 febbraio 2014

A volte ritorno

Quando ho chiamato mia madre e le ho detto che tornavo a lavorare in banca ho sentito la sua voce riempirsi di meraviglia:
"Dici sul serio?! Non mi prendi in girooo?"
In effetti sono stata un pò sleale a presentarle la situazione in quel modo, ma dopo aver sopportato anni di borbottii e malumori per la mia scelta di mollare il posto fisso volevo vedere che effetto le avrebbe fatto. E' vero, da una settimana lavoro in banca e ironicamente nella stessa banca dalla quale me ne sono andata ormai otto anni fa, ma non sono più un'impiegata; collaboro ad un progetto di ricollocazione di lavoratori svantaggiati.
Subito dopo aver telefonato alla mamma ho informato i miei amici e le loro reazioni sono state tra lo stupito e l'incredulo. Un ex collega mi ha scritto "Ho perso dieci anni di vita", un'amica che ho conosciuto in ufficio si dispiaceva perchè è in maternità e non ci possiamo vedere. Solo il Pizza ha risposto, inorridito: "Ma sei sicura di volerlo fare?" temendo che volessi rientrare nei ranghi della vita impiegatizia. Confesso che mi sono divertita a vedere le loro facce e leggere le loro email, e pure che ero curiosa di rivedere la banca dall'interno, per vedere se era come la ricordavo. Quando lunedì scorso sono passata dai tornelli ero abbastanza tranquilla, anche se non sapevo bene cosa aspettarmi da questa nuova occupazione. Ora che i compiti si sono chiariti e vedo le persone che seguo occupate in mansioni abbastanza simili a quelle che svolgevo io, ora che mi sono guardata bene intorno e ho osservato gli impiegati degli uffici nei quali lavoro, posso dire che nulla è cambiato. Ma proprio nulla. Nè il colore dei muri nè i poster appesi alle pareti (recuperati probabilmente da qualche agenzia) nè gli armadi di metallo grigio nè i lugubri neon appesi al lugubre soffitto a pannelli. Pensare che avrei potuto passare tutti i giorni della mia vita di lavoratrice in un posto del genere mi dà i brividi. E nonostante il tempo passato e l'avvicendarsi delle mode neppure il modo di vestire è cambiato, si limita a tentare di essere accettabilmente e pudicamente sexy pescando dagli scaffali dei negozi delle grandi catene che ci sono in centro, scegliendo nuances che vanno dal grigio al nero, al marroncino, al grigio, al nero. Pure le persone sembrano le stesse, anche se devo ammettere che negli uffici dove ho lavorato si parlava molto più spesso di calcio e si facevano più battute a sfondo sessuale. Ma negli anni il personale s'è ridotto e non c'è tempo come allora per cazzeggiare. Una cosa però mi ha colpita: mentre dove mi trovavo io le persone disabili erano accettate e spesso i colleghi si prendevano carico per solidarietà di compiti non loro, ora, con il diminuire degli impiegati e l'aumento del lavoro pro capite, questa solidarietà sembra perduta. In ogni caso, tornare e poter guardare col distacco dell'occhio esterno quello che ho lasciato, è divertente e in fondo conferma che ho fatto la scelta giusta, in ogni caso.

venerdì 31 gennaio 2014

mercoledì 8 gennaio 2014

Gatti, scatolette, pioggia (tanta), e nebbia

Come da qualche anno a questa parte, dopo aver salutato Ciambella e Brotchen, io, Speck e Lena siamo andati nella nostra dacia a passare il resto delle vacanze. La dacia si trova in una zona lagunare, piatta e nebbiosa, che per me dà il meglio in questa stagione malinconica e fredda. Al nostro arrivo Romeo ci ha dato il benvenuto, e noi abbiamo contraccambiato con tre scatolette. Non c'era Macchianera, e per diversi giorni non s'è visto. Si sa, in campagna a un gatto può succedere di tutto e purtroppo non potevamo far nulla se non sperare che fosse stato adottato da qualcuno convinto dalle sue insistenze. Poi, una sera, è comparso, grassoccio che quasi non si riconosceva; vi giuro, è diventato enorme, tanto che ho pensato che fosse stato effettivamente preso in una casa e lo avessero castrato. Invece a una successiva visita abbiamo verificato che il suo armamentario è intatto. Che dire, magie del pelo invernale e forse di altri abitanti del luogo ai quali è simpatico. Purtroppo non ho sue foto (è comparso solo un paio di volte e sempre di sera), dovete credermi sulla parola.
Invece la piccola Lena ha cominciato a vomitare, e non è una novità. Anche la scorsa estate lo ha fatto, forse per il nervosismo del viaggio e per il cambiamento di ambiente. La cosa mi preoccupa perchè significa che Lena è troppo sensibile, oppure che ha una gastrite. Non sarebbe bello. Urgono esami medici.
E poi la pioggia, almeno due giorni di diluvio che hanno dimezzato le Casere, i falò tradizionali del 5 gennaio, una bella tradizione ancora molto viva nella zona. In compenso quella sera stessa ho partecipato ad una tombolata in un ristorante vicino al fiume, dove con un ambo ho vinto un misuratore di pressione da polso, una vera botta di fortuna.
Dulcis in fundo la tradizionale, rinomatissima nebbia locale, che nelle stradine di campagna si tagliava con una sega a motore, impressionante, cose così a Milano non si vedono più. Adesso siamo di nuovo nella grigia capitale lombarda, Lena è contenta di aver ripreso possesso del suo territorio cittadino, ha mangiato, è andata a brucare l'erbetta nel suo vaso sul balcone, e ora ronfa felice sulla sua sedia. Io un pò meno...

lunedì 6 gennaio 2014

X-Men first class: l'amore continua

Come forse ricorderete, all'epoca in cui usci' "X-Men first class" al cinema, andai a vederlo e lo trovai bellissimo, mi entusiasmo' tantissimo.
Ieri sera ho forzato Brotchen a vedere la prima TV tedesca (su Pro Sieben) del film. Mi aspettavo di guardare di nuovo il film con un po' di noia, di delusione tipica del "gia' visto" o del "me lo ricordavo piu' bello". E invece no. Il film mi ha di nuovo inchiodata alla sedia (cioe' al divano), mi ha fatto di nuovo rosicchiare le unghie nella speranza del lieto fine (bo', saro' un'anima semplice che si fa coinvolgere troppo...)
mi ha divertita e coinvolta come la prima visione. Anche Brotchen, nonostante marchi questi film come "Unsinn" (insensati) e nonostante non sappia nulla delle saghe a fumetti, si e' divertito e non ha criticato la sceneggiatura come invece sua abitudine.

Ho ammirato nuovamente il cast e la mia 15enne interiore ha ancora sospirato di fronte agli eroi maschili.
Insomma, se un film non delude alla seconda visione deve essere buono...
Dr. Xavier - Semo' bbravi...