giovedì 28 marzo 2013

Ingleserie

C'era una volta la commedia inglese: negli anni 60 e 70 ci aveva regalato pellicole come l'insuperato "Il ruggito del topo"(con diversi Peter Sellers), il delirante "La classe dirigente" (con Peter O'Toole) o assolutamente folli come "The magic cristian" (con Sellers e Ringo Starr), che puntavano un ditino cattivo e minaccioso sulla società -soprattutto britannica- e sulle fissazioni di un mondo e di una società allora in trasformazione. Nel decennio dello yuppismo si era convertita a temi contemporanei, come le lotte sindacali ("Grazie Mrs Thatcher") o le droghe ("Trainspotting"); la vecchia Inghilterra delle signore per bene che bevono tè con le amiche in salotto veniva spazzata via dalla classe operaia britannica, cialtrona, sguaiata e appassionata alla birra più che agli infusi. La cosa inizialmente funzionò, ma dopo gli anni 90 ("Full Monty", "The commitments") questo filone cinematografico si appannò, probabilmente a causa di una certa ripetitività e della scelta di storie romantiche tutto sommato abbastanza prevedibili anche se interpretate da divi ("Notting Hill"). Negli anni 2000 la commedia inglese ha subito il fascino del vintage: è il caso di "I love radio rock", la storia vera di una radio che negli anni 60 trasmetteva da una nave tutti quei pezzi musicali che venivano censurati dalla BBC, e questo "We want sex equality" che prende spunto dallo sciopero del 1968  di 187 operaie della fabbrica della Ford di Daghenham, le quali oltre a lavorare in condizioni assurde, venivano pagate meno degli uomini per la sola ragione di essere donne.

L'episodio è molto interessante, ricostruito in modo abbastanza realistico cercando di non alterare i fatti ed i personaggi caricandoli di un'eccessiva caratterizzazione: soprattutto la protagonista Rita O' Grady (interpretata da Sally Hawkins), pur passando attraverso una trasformazione che la rende più consapevole dei propri diritti e della propria importanza, non diventa una superdonna, rimane credibilmente attaccata alla concretezza della vita. Più immaginati sono forse i funzionari del sindacato, soprattutto quelli "cattivi", che non appoggiano Rita e le colleghe, ma anche Albert Passingham, interpretato da Bob Hoskins, lui però si può permettere questo ed altro.
Tutto funziona, sceneggiatura, recitazione, fotografia, colonna sonora (che ovviamente contiene diversi  successi del tempo), finale. Nonostante ciò in qualche modo il film non fa il botto, non entusiasma: sarà perchè vengono delineati con forza solo tre dei personaggi delle scioperanti mentre tutte le altre rimangono una massa indistinta di operaie caciarone; sarà che si ritrovano comunque alcuni stereotipi visti e stravisti, una per tutte la ragazza focosa e un pò sboccata (un pò come la Samantha di "Sex and the city"); sarà che effettivamente la questione della discriminazione di genere era ed è seria (nel film sono contenuti spezzoni di telegiornali dell'epoca in cui operai maschi si dichiaravano contro la parità di salario per le donne), e l'atmosfera a tratti diventa anche molto drammatica. O forse mancano la cattiveria e il divertimento che caratterizzano altre pellicole più brillanti. Proprio l'intento di mantenersi aderenti alla realtà degli autori è probabilmente il limite di questa storia, dove non si esagera mai, e se non si esagera non si osa.
Una scelta rispettabilissima che ha i suoi pregi, anche se le premesse erano un pò diverse. Vale comunque la pena di vedere questo film, soprattutto in questi tempi in cui la condizione femminile è tanto disgraziata, serve un piccolo promemoria di quello che unite siamo capaci di fare. E a proposito di questo vi informo che il titolo originale è "Made in Daghenham", mentre "We want sex - equality" è il titolo italiano che si ispira ad un episodio del tutto marginale del film (per altro sfruttato ampiamente anche dalla pubblicità) in cui uno striscione con questa scritta viene srotolato a metà producendo l'ilare messaggio "We want sex". Paradossale.

1 commento:

  1. Alle improponibili traduzioni dei titoli originali
    ci abbiamo fatto, ahimè, il callo.
    Ma perchè diavolo devono sostituire
    un titolo in inglese con un altro titolo, del tutto fuorviante, nello stesso idioma?
    Volevano attirare in sala uno stuolo di arrapati
    armati fino ai denti di kleenex?

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