giovedì 26 dicembre 2013

The day after (Christmas)

Siamo appena rientrati dall'aeroporto, dove abbiamo lasciato Ciambella e Brotchen che come sempre tornano a Berlino il 26, appena la festona è finita, con uno strascico di digiuni dovuti al troppo mangiare e bere del giorno prima. E' stato bello, ci siamo divertiti con i nostri parenti, anche se non tutti ci crederanno. Io e Speck abbiamo cucinato l'alternativa vegetariana del pranzo di Natale mentre i nostri genitori accumulavano bottiglie di olio e vino e vettovaglie made in Italy per i transfughi del Nord e per Speck.
Sono triste quando Ciambella va via, penso sempre che potrebbe restare un pò di più. Beh, mi consolo coi regali, ottimi e abbondanti, libri, dvd, cd, agende...
Ancora Buon Natale

sabato 16 novembre 2013

Bulliamoci un pò

Chiedo perdono per questo post, ma quando capita bisogna approfittarne e pubblicizzare i propri successi. La scorsa estate è stato pubblicato un metodo per insegnare l'italiano a persone sorde al quale ho collaborato in certa misura. So bene che si tratta di una nicchia, tuttavia è una piccola soddisfazione vedere pubblicata la recensione del libro sul sito del Corriere della Sera nel blog dedicato alla disabilità. Se siete curiosi, l'articolo lo trovate qui.
Che poi questo mi porti palanche e gloria...è tutto da vedere.


La vendetta della fonetica

Tanti anni fa, finite le scuole superiori ed un triennio di specializzazione, in attesa di trovare un lavoro (cosa allora meno difficile di oggi) nostro padre ci iscrisse ad un corso d'inglese. Io e Ciambella ci prendemmo gusto e restammo allieve della scuola per parecchi anni. Nelle varie classi m'imbattevo spesso in allievi che tenevano moltissimo ad acquisire una perfetta pronuncia della lingua, incuranti però delle altre componenti della lingua, col risultato che pronunciavano meravigliosamente strafalcioni grammaticali senza precedenti. Da qui forse parte la mia avversione per la fonetica, che trovavo fuorviante rispetto alla lingua, rappresentata per me soprattutto da quella scritta (sono tuttora sostenitrice della lettura come metodo supremo per rafforzare la conoscenza di una lingua straniera). Ma c'era anche qualcosa d'altro. Cos'erano quelle mosche schiacciate che mi venivano presentate vicino ad una parola? (Si trattava dell'IPA, l'alfabeto fonetico internazionale, che nulla ha a che fare con l'alfabeto normale), e come facevo a produrre dei suoni leggendole? A distinguere un suono da un altro? Ero talmente incerta e annoiata dagli esercizi di fonetica che decisi di depennarla dai miei impegni linguistici.
Oggi scrivo e leggo in inglese decisamente bene, quasi non sbaglio un esercizio di grammatica, ma ho ancora la pronuncia di un emigrato di Little Italy, anche se migliore di quella di tanti politici nostrani. E quando pensavo che non avrei più avuto a che fare con i suoni dell'inglese mi è piombato addosso un macigno: l'esame di Inglese 1 all'università verte esclusivamente sulla fonetica. Ebbene sì. Ho provato a scartabellare il programma di tutti i docenti, sperando di trovarne uno più incline alla grammatica, ma non c'è stato niente da fare, Inglese 1 è tutto fonetica. Se non fosse per questo l'avrei già dato e superato con un ottimo voto: completamenti, giri di frasi, phrasal verbs non sono un problema. La fonetica invece è come un mostro galattico che mi sbarra la strada verso il pianeta Inglese 2 (e verso la laurea). Così, con l'aggravante di non poter frequentare, mi sono trovata costretta a comprare un corso di fonetica, e oggi mi pare quasi di capirci qualcosa...La cosa potrebbe anche risolversi in meno tempo del previsto. Certo, quando mi trovo a cercare di distinguere tra cat e cut, e a ripetere più volte frasi come Listen to the music per capire come si dice la "u" mi sento un pò Eliza Dolittle...

venerdì 1 novembre 2013

Nothing sweet about me

Qualche giorno fa sul metrò sbirciavo come al solito i libri dei viaggiatori. Due ragazze di circa 25 anni sedute davanti a me erano concentrate una su "Cinquanta sfumature di grigio" e l'altra nella lettura di un romanzetto rosa sulla cui copertina svolazzano dolci glassati e scarpe col tacco. La quarta della stessa copertina riportava una presentazione che suonava più o meno così:

"Problemi di cuore? Le amiche prescrivono shopping in compagnia, pasticcini e chiacchiere senza fine..."

Una frase banale, apparentemente innocua, che però mi ha decisamente infastidita.
Mi sono immaginata a suggerire ad una mia amica in crisi col fidanzato o innamorata senza speranza di comprarsi un paio di scarpe nuove, o di offrirle come unico conforto un gabaret di paste alla crema e gli ultimi pettegolezzi sulla vicina di casa. Probabilmente l'amica s'incazzerebbe, e forse mi darebbe anche un pugno sul naso.
La banalizzazione del mondo interiore femminile va avanti da sempre: secondo lo stereotipo caro a televisione ed editoria di basso livello (per non parlare di certi politici) le donne sono piagnone, chiacchierone, pettegole, perfettine, badano alle apparenze, profondono il loro massimo impegno della scelta e nell'acquisto di abiti ecc. ecc. Il cliché -pur completamente scollato dalla realtà- è comodo sia per coprire le proprie mancanze, sia per mantenere rapporti di forza tra i generi che vanno avanti da millenni, sia per continuare a vendere spazzatura letteraria. Anche uomini intelligenti e acculturati indulgono in battute ormai stantie sul genere femminile, dimostrando quanto a fondo penetrano i pregiudizi e le false immagini. Ridurre a una macchietta, una barzelletta l'universo delle donne lo rende manipolabile e permette agli spaventati uomini di marchiarlo come senza importanza, tranquillizzandoli, perchè se è qualcosa di risibile, non ci si dovranno confrontare direttamente. Eppure, già nel 1800 Jane Austen seppe dare voce al suo genere con una penna allora rivoluzionaria e oggi ancora attuale. Partendo da quel mondo limitante per le aspirazioni delle donne creò eroine intelligenti e caparbie, con una ricchezza interiore che gli uomini del periodo facevano fatica a riconoscere loro (in passato le donne non erano considerate esseri inferiori solo in virtù della minore forza fisica, si riteneva che avessero ridotte capacità intellettive!) e che contestavano la società, silenziose e tenaci, e alla fine vincevano. Elizabeth, la protagonista di "Orgoglio e pregiudizio" pur in una posizione sociale svantaggiata non rifiuta solo l'offerta di matrimonio di un cugino che trova insopportabile, ma anche quella del ricco e piacente -ma sgradevole- Mr Darcy. Emma si confronta su un piano dialettico pari a quello del suo amico e poi fidanzato, commettendo anche degli errori, ma facendo sempre di testa sua. Mi sembra che abbiamo ancora molto da imparare da personaggi come questi.
Se potessi dare un consiglio alle ragazze e le donne tentate dai romanzi con le copertine in colori da cake design è di riscoprire quest'autrice che rappresenta l'universo femminile con ricchezza di sfumature, onestà nel riconoscere i difetti e grande intelligenza. E questo vale anche per i ragazzi.

sabato 19 ottobre 2013

Dinosauri

All'apparenza io e Speck siamo una coppia tecnologica: surfiamo su internet, abbiamo una stampante a cui inviare le stampe attraverso una connessione wireless, scriviamo email, facciamo scansioni, aggiorniamo i nostri computer con i blocchi anti pubblicità. In realtà opponiamo a determinate innovazioni una resistenza ghandiana. Ad esempio, detestiamo gli ebook e preferiamo il frusciare delle pagine; anche il frusciare della puntina sui dischi di vinile ci è più gradito del gelido scorrere di dati dell'mp3; al posto di un televisore ultrapiatto ci affidiamo tuttora ad un vecchio portatile a tubo catodico collegato al digitale terrestre da un inestricabile groviglio di fili, e non riusciamo proprio a farci affascinare dall'Ipad. Insomma, lo sapevamo di essere un pò old school. Ma quando oggi in metropolitana abbiamo visto due simpatiche vecchiette far scorrere sul touch screen del loro telefonino le foto delle vacanze estive, abbiamo guardato i nostri cellulari -orgogliosamente a pulsanti- e ci siamo sentiti decisamente superati...

giovedì 10 ottobre 2013

Ogni passione lavorativa spenta

Lo scorso anno scolastico è stato devastante. Una serie di circostanze maligne unite alla malafede di certi personaggi mi ha portata ad uno stato di prostrazione psico fisica che i tre mesi estivi hanno solo in parte lenito. Da giugno scorso mi sento una specie di reduce di guerra. Parlo con le mie colleghe e non riesco ad esimermi dall'esprimere la mia rabbia e la mia disillusione per un lavoro che per cinque anni mi ha completamente assorbita, e pensavo sarebbe stato quello definitivo, serio, di cui perfino  i genitori vanno fieri (e per questo sono disposti a dimenticare la fuga dalla banca) e da cui ricavare un magro ma onorevole salario. Invece, da quando ho iniziato, l'unica a mettere in gioco qualcosa sono stata io, non solo nell'illusione che specializzandomi avrei avuto modo di conquistare una posizione migliore, ma anche nella convinzione che quello che stavo facendo era bello e mi appagava. Ora non ci credo più. Ho pochissime ore di lavoro e non faccio nulla per cercarne altre, non mi sento di avere la forza morale o fisica per gestire un altro rapporto uno a uno contornato di docenti, genitori e coordinatori di cooperative, non sono più disponibile a fare ore gratuite (come invece spesso accadeva in passato), non ho semplicemente più voglia. Anzi, ne ho quasi paura. Ho il terrore di gettarmi a capofitto in un'altra occupazione e restarci invischiata, soprattutto emotivamente; non voglio più portarmi il lavoro a casa, non voglio più pensarci quando esco da scuola. Questo mi preoccupa, perchè ho paura d'innsecare una reazione che mi porti a temere d'intraprendere un nuovo lavoro.
Tutta l'accettazione che ho stupidamente mostrato in questi anni dando per scontata la correttezza delle persone mi ribolle dentro ed ho una serie di numeri telefonici che comporrei volentieri per mandare a quel paese chi risponde; ho deciso che cambierò facoltà all'università, e basta studi specifici sulla sordità; ho deciso di cambiare lavoro e sto facendo passi per realizzare questo cambiamento.
Anche se i saggi dicono che niente va perso, mi guardo indietro e vedo montagne di lavoro e di studio che non hanno portato a nulla, zero, niet.
Adesso voglio solo sedermi sul divano e lavorare a maglia.

martedì 24 settembre 2013

Berlino e i tempi che corrono

Anche a Berlino la festa per i giovani e gli artisti e' finita: i prezzi sono saliti esponenzialmente negli ultimi anni e non accennano a fermarsi, anzi!

Oggi guardavo le offerte per trovare un atelier dove lavorare: 220€ per una scrivania in Mitte, 360€ per un atelier in Schlesisches Tor e cosi via, sotto i 200€ non si trova una cantina dove poter dipingere in pace.

Dobbiamo ringraziare per questo gli investitori (leggi anche "speculatori"), i grandi, da paesi come la Danimarca e il Lussemburgo, e i piccoli come i comuni cittadini Italiani, che hanno comprato tutto per  lucrare, trasformando la citta' in un dormitorio per turisti.

Adesso il flusso di artisti e giovani si sposta a est, verso Varsavia e altre citta' dove la vita costa meno.
Fino a quando un altro flusso di speculatori si muovera' per distruggere la loro citta'.

Capirete che oggi sono di pessimo umore.

giovedì 12 settembre 2013

Pietre Fasulle

Attenti a questi due
Il crack Parmalat è stato un disastro economico quasi epocale, non solo per il marchio coinvolto, non solo per l'entità del danno ai piccoli risparmiatori, ma perchè ha messo definitivamente in luce anche in Italia un sistema di gestione finanziaria che chiamare disinvolta è dire poco e che è alla base dell'attuale crisi economica. Falso in bilancio, fondi in depositi off shore, Caymans, derivati. Termini tristemente noti che probabilmente fanno ribollire il sangue di coloro che in questa faccenda hanno perso il loro sudato denaro.

Dunque “Il gioiellino” può servire non solo per comprendere meglio quanto effettivamente accaduto, ma anche per tenerne viva la memoria, visto che il sistema -nonostante tutto- da allora non è cambiato.
La LEDA è un'azienda florida, un gioiellino dell'economia nazionale basato non solo sul prodotto, ma anche, come ripete continuamente il suo proprietario Restelli, sui valori. Ovviamente anche sul profitto, che lui difende blandendo qualche politico minore. A capo della contabilità c'è il ragionier Botta (Toni Servillo), devoto al lavoro, scorbutico, che nonostante qualche sveltina con la segretaria passa la maggior parte del tempo in ufficio e a casa è solo, ascolta musica commerciale anni 70/80 e si diletta di buoni vini.
Leda è arrivata al punto in cui un'azienda ha tre opzioni: morire, vivacchiare o fare il botto. Un marchio americano si offre di acquistarla, ma Restelli si oppone e decide di tentare il grande salto allargandosi al mercato dell'Est europeo. Ma queste sono manovre costose e il proprietario, oltre ad assorbire la parte dell'azienda della sorella (che voleva vendere) deve oliare i politici del luogo, piuttosto voraci. Da qui parte la cavalcata disastrosa di un'azienda che comincia subito con il farsi sopravvalutare le azioni al suo ingresso in borsa per rastrellare più fondi possibile, e in fretta. Le cose degenerano e Restelli, coadiuvato dal recalcitrante ma fedele Botta si addentra in una giungla
di corruzione e tranelli finanziari in cui le banche concedono prestiti a condizione che parte dello stesso denaro vada a coprire gli ammanchi di imprese di parenti o amici oppure che sia investito in una serie di operazioni sui derivati. Il finale della storia lo conosciamo tutti, e non è allegro.
Tra i pregi del film v'è certamente la chiarezza di esposizione di questioni tutt'altro che facili da comprendere per chi non sia esperto (anche se ammetto che guardare il film con un ex bancario come Speck accanto aggiunge un certo divertimento alla visione). Toni Servillo e Remo Girone brillano nelle parti borderline del film, uomini di discutibile moralità ma nei quali si trova nostro malgrado qualche lato apprezzabile: Restelli compie nefandezze che trascineranno nel baratro non solo la sua azienda e i suoi dipendenti, ma anche migliaia di famiglie di risparmiatori, tuttavia è sincero quando parla di valori (anche se, per salvare la sua fabbrica di valori è pronto a tradirli); mentre l'abnegazione di Botta verso Leda non si ferma nemmeno di fronte alle grazie della nipote di Restelli (una piuttosto scarsa Sarah Felberbaum)- ragazzotta rampante con una laurea in economia e commercio e la bocca piena di termini inglesi che non si fa scrupoli a rubare all'azienda dello zio- e lo porterà a lavorare per la ditta fino al momento in cui verrà arrestato. Gli uomini che hanno ispirato i personaggi sono probabilmente molto meno positivi e simpatici.
Andrea Molaioli, già autore de “La ragazza del Lago” (bel film con Servillo con i baffi) dimostra una certa gratitudine verso Paolo Sorrentino, a partire dalla colonna sonora per arrivare alla scena della notte in cui tutti i documenti compromettenti delle operazioni di Leda vengono distrutti dai suoi solerti impiegati, ma -visto anche il tema- è decisamente meno lirico, più concentrato sui fatti.
Nel dvd è anche contenuto un simpatico mockumentary dal titolo “The Fake Gem” in cui il regista e i suoi protagonisti raccontano la vera storia di Leda/Parmalat.


sabato 7 settembre 2013

Il mio primo vestito

Ho lavorato un mese, cucito, scucito, ricucito, mi sono disperata con i calcoli e le taglie ma finalmente ecco il mio primo vestito! Con tutti i suoi difetti sono orgogliosa di me!

mercoledì 4 settembre 2013

Estate senza fine

L'ho già scritto, per me l'estate non è un momento allegro. Tutte quelle storie sul caldo, il sole, la spiaggia, non le ho mai condivise. E' vero, da piccola giocavo in cortile, andavo in bicicletta e io e Ciambella venivamo scarrozzate fino alla riviera adriatica per due, tre settimane di bagni e giochi nella sabbia, ma c'è sempre stato un fondo amaro nell'estate. Non so perchè. Comunque crescendo le cose non sono cambiate, semmai peggiorate. Dopo un anno di lavoro la funzione dell'estate è di resettarmi i neuroni, calmare le ansie (ahah!) e recuperare energie. Quello che accade è che durante i primi 15 giorni (che di solito passiamo all'estero, ma quest'anno no) emergono tutte le nevrosi accumulate, faccio una serie di bilanci di vita e sclero. Poi, il mese successivo sono molto più rilassata, mentre le ultime tre settimane comincio ad avere delle crisi d'ansia al pensiero di tornare al lavoro. E' quello che sta accadendo ora. Ogni anno ricado nelle stesse dinamiche (e anche questo l'ho già detto), ogni anno peggio, un pò per il logorìo e un pò perchè bene o male il tempo passa. Quest'anno sto cercando di essere più fredda, di valutare più pragmaticamente il mio comportamento. Ad esempio, nel 2012 sono andata in paranoia perchè avevo paura di non avere lavoro e così mi sono affannata, ho accettato casi che NON AVREI DOVUTO ACCETTARE e il risultato è stato devastante. Quest'anno sto cercando di tenere a bada l'ansia e non prendere qualsiasi cosa. Mi sono resa conto che il mondo del lavoro in neanche 10 anni (ho lasciato la banca 6 anni fa) è cambiato totalmente, e di quanto questo sistema di contratti a termine e a progetto generi ansia e una dipendenza psicologica dai datori di lavoro; una dipendenza insana che riduce e infine annulla la volontà d'iniziativa, il ricambio stesso delle energie lavorative. Se poco tempo fa un giovane lasciava un posto di lavoro, poteva subentrargli qualcuno anche migliore. Oggi è tutto al ribasso, un laureato vale lo stesso di una persona che non ha neanche la licenza superiore. Anzi, pare che alcuni laureati omettano questo diploma nel curriculum perchè è un ostacolo anzichè un titolo di merito nella ricerca del lavoro (ahahah! E dire che mi sto facendo un culo così per laurearmi alla mia età!). E poi tutto dipende o sembra dipendere dal denaro: uscire di casa, farsi una famiglia, andare in vacanza, costruirsi un futuro. Perciò, siamo disposti a scendere molto, moltissimo nelle nostre aspettative professionali per uno stipendio, per quanto misero. Abbiamo consegnato il nostro potere decisionale, sulla nostra vita, ad un sistema che ci toglie qualunque prospettiva (e io lo so perchè faccio un lavoro che come prospettiva unica ha quella di continuare a fare questo lavoro, senza scatti economici e di carriera, con lo stesso identico stipendio di una persona che inizia ora a farlo). Sembra banale, ma è vero che ormai tutto viene mercificato, che il denaro è la nostra unica preoccupazione, anche la mia, che pure non ho Ipad, uso un telefonino vecchio di cinque anni e non ho nemmeno la macchina. E forse questo è ancora più grave, perchè non ho desideri (a parte i libri) che giustifichino questa ansia, non ho diritto di sentirmi così oppressa, e proprio perchè di fatto non ho professionalmente quasi nulla (se non un'esperienza e uno studio che sembrano non contare una sega), non dovrei sentirmi impedita nel tentare nuove strade, non dovrei aver paura di perdere nulla. E' questo il furto più grande che è stato perpetrato ai danni di tutti, vecchi e giovani, la spensieratezza e la fiducia. Che non è fare finta che non ci siano problemi e passare il tempo a bere Negroni in Corso Como, non è guardare trasmissioni dementi e credere alle promesse ormai logore, vecchie e nuove, ma affidarsi al flusso della vita sapendo che in qualche modo ci penserà lei. In questi sette anni non abbiamo perso solo potere d'acquisto, abbiamo perso il potere di fregarcene, di essere diversi, di essere noi stessi in barba al “trend” generale. Forse a dire qualche no ci sarebbe più da guadagnare che da una montagna di . Tanto vale tentare.

martedì 27 agosto 2013

A little more Facezie Estive

Ecco qualche aggiornamento da dove mi trovo...

L'ostello dei gatti 2
La principessa Lena
Il piccolo aspirapolvere peloso (mangia a velocità esponenziale)

Ricorderete che inizialmente temevo che la presenza di Macchianera creasse problemi a Romeo, che lei si spaventasse e non si facesse più vedere. Come al solito avevo sbagliato, in realtà la piccola Romeo è il boss della banda, mangia per prima e va a mettere il naso nel piatto del compare senza che lui possa dire nulla. Se però lei è sazia non ha nulla da ridire che lui finisca quello che ha avanzato. La novità più bella però è che Macchianera comincia a fidarsi e a strusciarsi sulle nostre gambe. A dire la verità è piuttosto sgraziato e invece di sfiorarti dolcemente i polpacci ti prende letteralmente a testate e sederate, ciondolando sulle sue gambette. A volte sbanda, colpendo accidentalmente Romeo. Anzi, è così insistente ormai c'è una specie di competizione alla coccola. Macchianera deve stare attento, se fa arrabbiare Romeo sono guai per lui. Tutto questo sotto gli occhi attoniti di Lena che guarda tutto da dietro la porta-finestra. Ora la mia preoccupazione maggiore è cosa sarà dei nostri ospiti quando saremo tornati in città. Sto studiando una soluzione...
She's the boss
Al bar “Lumaca”

Nel nostro giardinetto l'erba stenta a crescere, e anche quando ci prova le affamatissime lumachine e i volonterosi slàcher (che sarebbero le lumache senza guscio) la radono al suolo con le loro piccole fauci appiccicose. Speck è andato in un negozio per chiedere del lumachicida, ma -a parte la mia contrarietà ad eliminare fisicamente le lumache- questa sostanza poteva risultare velenosa per i mici del cortile. Ma niente paura, la soluzione c'è, è semplice ed economica...la BIRRA! Pare infatti che le lumache siano golose della bionda bevanda, così ne abbiamo disposto sull'erba dei piattini e abbiamo aspettato. Un successo, le lumache e gli slàcher arrivano a frotte ad abbeverarsi, noi li prendiamo e approfittando del loro stordimento li portiamo nel prato di fronte. E' un po' una tela di Penelope, ogni sera le lumache sono di ritorno, come un piccolo esercito di zombies bavosi, e dobbiamo di nuovo raccoglierle e riportarle fuori.

martedì 13 agosto 2013

More Facezie Estive

Arrivati a Ferragosto perdo ogni voglia di fare: la volontà si affloscia, non posso pensare alle pulizie, studiare, a volte anche leggere è una fatica. Complice anche il ristabilirsi di temperature decenti dopo settimane di cottura nel forno a vapore del mugnaio del Mulino Bianco, l'unica cosa che mi sento di fare è dormire. A grande richiesta del Pizza però, ecco le novità da dove mi trovo...

L'ostello dei gatti
Come ricorderete, nella nostra dacia vive una gattina che (per errore) abbiamo chiamato Romeo. Quando arriviamo Romeo ci dà il benvenuto e si stabilisce nel nostro giardino. La mattina fa colazione con noi, poi si spaparanza sul prato o sul vialetto. Ogni tanto scompare, poi si rifà viva, per qualche crocchino o una coccolina, portando magari un topo ammazzato con le sue zampette in omaggio. Lena è ormai abituata alla sua presenza e anzi, se non la vede per un po' diventa nervosa.
Ma da qualche giorno è entrato in scena un nuovo felino, Macchianera. In realtà all'inizio l'avevamo scambiato per il Gatto Mascherato, che bazzicava da queste parti lo scorso anno. Poi, guardandolo meglio, Speck ha stabilito che quasi sicuramente si tratta di suo figlio. Macchianera è un maschio e le macchie sul muso lo fanno assomigliare a un procione. Ha il testone, delle gambette storte e un appetito instancabile. Ha iniziato a entrare in giardino di sera. Temendo che si menasse con Romeo lo mandavamo via, ma lui da bravo gatto è dotato di un'insistenza prodigiosa, così abbiamo iniziato a dargli da mangiare in un angolino dove non potesse dar fastidio. Macchianera è spassoso: piagnucola per chiedere cibo e appena ti vede avvicinare per portargli la pappa emette dei soffi di avvertimento “Ehi, occhio, non far scherzi eh?!”...Mi ricorda Gatto Silvestro. Comunque, si è subito accomodato e allargato, spostandosi sul territorio di Romeo, finendo ciò che lei avanza e sbirciando in casa dallo zerbino. Ovviamente mi sono preoccupata, finchè non mi sono accorta che Romeo non è per niente infastidita da quest'invasione: non si attaccano, non si soffiano, sembrano quasi amici. Ho quasi il sospetto che sia stata lei a dire ad un affamato Macchianera “Non temere amico! Conosco un posto dove si mangia bene!”.
Comunque, adesso abbiamo due gatti che mangiano e dormono in giardino e una che mangia e dorme in casa...attendiamo altri ospiti...
Romeo sfoggia le sue qualità atletiche

Introducing...Macchianera!

Lena si dedica ai cartamodelli...

Love Songs Suck
Pare che gli alpini di leva a Vipiteno, prima di tornare a casa attaccassero un lucchetto al ponte di Banhofstrasse, ripromettendosi di tornare in quella città. Per colpa di Federico Moccia questa simpatica tradizione è diventata un rito kitsch, stucchevole e invasivo, che devasta in varia misura i ponti delle città d'arte italiane. Insieme a Roma una delle più gettonate è certamente Venezia, romantica per antonomasia. Chi ama Venezia e cerca di difenderne la bellezza diventa sempre più insofferente alle smancerie dei turisti, ecco perchè il gruppo Fallo ("Fronte anarcolettico liberiamo i lucchetti ora") ha deciso di organizzare per settembre il Trancino Day, durante il quale gli aderenti si dedicheranno alla rimozione di tutti i lucchetti dai ponti veneziani. Un'opera meritoria a cui chiunque voglia può partecipare contattando il Fallo via Facebook (Fallo sempre). Intervistati dalla “NuovaVenezia” gli attivisti dichiarano: “Ci piace pensare che quando tranciamo un lucchetto le due persone si lascino e l'incantesimo si rompa. E' vero, siamo cattivi. Chiamateci pure i nemici dell'amore. Questi sì che hanno le idee chiare.

Depilazione, seconda puntata
Dopo aver letto su Repubblica del nuovo metodo di depilazione con il filo orientale, mi sono entusiasmata, e dopo aver guardati alcuni tutorial su Youtube ho provato su di me la tecnica. Cavolo gente, funziona! Ammetto che per il momento si tratta di una faccenda parecchio lenta, estirpo pochi peli per volta, ma pian piano mi velocizzo. Già mi vedo in un futuro non lontano a depilarmi da sola, efficacemente e a costo zero!!! Non vedo l'ora.

Alle prossime Facezie...

domenica 11 agosto 2013

Per favore, basta!

Lo ammetto, quando arrivai a Berlino ebbi fortuna: Brötchen mi aiuto' con la burocrazia, l'iscrizione al comune, la Krankenkasse, la scuola di tedesco.
Non posso ringraziare abbastanza i miei amici storici berlinesi (due in particolare) a cui ho stracciato le palle infinite volte chiedendo loro delucidazioni su meccanismi oscuri, a volte decisamente perfidi, della vita tedesca e della lingua tedesca.

Ammetto di avere ancora bisogno di aiuto a volte ma cerco di fare il piu' possibile da sola, o almeno di "distribuire" un po' qua e un po' la' le domande, cosi da non avere una sola vittima.

Con questo background, mi sento ovviamente di aiutare altre persone che hanno bisogno di aiuto, che sono appena arrivate, connazionali che, disgrazia loro, non parlano nemmeno l'inglese e dunque non riuscirebbero nemmeno ad iscriversi ad un corso di tedesco in una scuola di lingue.
 Penso di essere paziente e cortese, ho accompagnato varie persone un po' ovunque: all'Arbeitsamt a chiedere il sussidio di disoccupazione, ad iscriversi a scuola, ad aprire un conto in banca, dal parrucchiere a spiegare assurdi tagli di capelli, da dottori vari, etc etc etc.
Ho usato tantissimo del mio tempo per spiegare concetti alieni, viaggiare per raggiungere i miei protetti ovunque avessero un appuntamento, pagato anche non indifferenti quantita' di denaro in biglietti dei mezzi pubblici. In cambio ho ricevuto "ricompense" in caffe' e dolci vari.

Tuttavia adesso devo proprio dire che mi sono rotta: ultimamente questa cosa ha preso una piega talmente perversa, che basta che io stringa la mano a qualcuno dicendo "piacere, Ciambella" che quasi invariabilmente ricevo una richiesta di aiuto per andare in uffici pubblici, trovare casa, lavoro, dottori, Krankenkasse, elettrauto, etc.
Gente che nemmeno conosco mi viene passata al telefono da cosiddetti amici, per chiedermi come regolarizzare la loro posizione in Germania senza pagare la Krankenkasse o l'Iva, amici di amici mi contattano su Facebook per sapere dove trovare lavoro e casa o dove trovare particolari specialita' vegane perche' la loro fidanzata vuole aprire un fast food vegano a Vicenza e hanno SENTITO DIRE che i cibi vegani tedeschi sono migliori (ma decheee'?!) o piu' classicamente, gente che mi chiede un posto dove dormire a Berlino.

Tutte cose vere, non scherzo.

La maggior parte di queste persone non e' autosufficiente o non vuole diventarlo, non studia il tedesco, non ha nemmeno il pudore di pensare che magari, anche io cerco lavoro, anche il mio tempo e' prezioso. Non solo, mi hanno proprio catalogata nelle loro teste come "quella che sa, quella che aiuta" tanto che chiedono a me anche quando hanno un sacco di altri amici che li possono aiutare.
L'ultimo di vari esempi e' stata una conoscenza (che pensavo una persona amica) che il giorno stesso del mio ritorno a casa dopo la colica renale mi ha chiamata per chiedermi di aiutarla a trovare non so cosa o andare da qualche parte a tradurre per lei. Non sono sbottata come avrei voluto, ho semplicemente risposto "guarda, non ho le forze adesso, chiedi a Pincopallina o Pincopallino, no?"
Questo genere di predatori di energia lo avevo incontrato anche a Londra: quante email ho ricevuto con la richiesta "Mi dici come si fa ad andare a lavorare a Londra? come trovo lavoro a Londra? puoi aiutare il mio amico/amica?". Gia', perche' e' anche una proprieta' transitiva degli amici aiutare i loro amici o conoscenti a destreggiarsi nella nuova citta'.
Un'altra caratteristica di questi figuri e' che ti vogliono essere amici, almeno finche' non trovano di meglio, non trovano qualcun altro a cui chiedere o gente con cui preferiscono stare.

Ho avuto anche due casi di gente che mi ha chiesto informazioni via email: dopo aver speso ore per scrivere in modo esaustivo, mi sono vista chiedere DI NUOVO, le stesse cose a voce.
Per carita', non sono tutti cosi: Insalatina Rivoluzionaria e Ironico Gianduja, che da qualche mese si sono trasferiti qui, cercano sempre di sbrigarsela da soli. Sono per me dei veri amici, non mi cercano solo per avere un aiuto, per questo quando (raramente) chiedono aiuto, sono piu' che disposta a dargli una zampa. Magari fossero tutti come loro!

Insomma, mi spiace ma devo mettere un freno alla mia gentilezza, dunque sto gia' iniziando manovre diversive, ignorando certe richieste o divergendole altrove.
Ovviamente i miei veri amici (loro sanno chi sono) possono continuare a contare su di me ma se qualcuno pensa di venire a Berlino, in vacanza o per vivere, non si aspetti che gli dica dove trovare lavoro, casa, Krankenkasse, visagisti, stagnaroli o calzolai, perche' rischia di fare una brutta, bruttissima fine.

With love.

Ciambella


domenica 4 agosto 2013

Facezie Estive

Nonostante il mio umore non sia dei migliori, cerco di entrare nell'atmosfera tipica di queste settimane estive con questo post. Non renderà meno deprimente l'andazzo ma servirà a distrarci un po' tutti quanti.

Depilazioni
Ieri leggendo “Repubblica” ho scoperto che esiste un nuovo metodo per depilarsi, il filo orientale.
Su alcuni siti lo troverete pubblicizzato come una pratica dei paesi arabi e su altri come un'invenzione dei cinesi. Ce n'è uno in particolare in cui la “depilatrice a filo” racconta con enfasi che la tecnica le fu insegnata da una maestra orientale che ebbe fiducia in lei. La cosa si presenta piuttosto semplice, almeno in apparenza, tuttavia ci vuole sicuramente pratica. I vantaggi sono molti: 1) pare che sia meno doloroso delle cerette, 2) naturale, senza l'uso di sostanze chimiche, 3) indebolisce il pelo e 4) se te lo fai da te uno piuttosto preciso di una ragazza orientale e l'altro decisamente più naif di una ragazzina americana con la lisca...
non costa praticamente niente. Entusiasmata da queste informazioni sono corsa su internet per saperne di più, ho trovato dei tutorial ed ho incominciato a provare, utilizzando del filo da cucito. I risultati sono stati deludenti, ma come ho detto ci vuole molta pratica. Allora Speck si è offerto volontario, e gli ho strappato qualche pelo dalle gambe. Lui dice che fa male, ma si sa che gli uomini sono dei piagnoni. Oggi continuo ad esercitarmi.

Radio Gugu

In trasferta non posso ascoltare la mia radio preferita, così sono costretta a farmi fare compagnia da emittenti più commerciali ma di sicura ricezione. Purtroppo la cialtroneria di queste frequenze talvolta oltrepassa il segno. Non mi riferisco solo al molesto chiacchiericcio fatto di luoghi comuni (piove governo ladro) e di populismo da quattro soldi, e nemmeno ai sondaggi dementi (dove ti piaceva farlo quand'eri pischello? La prima sega ti è venuta bene? Ripensi mai al tuo primo amore?) e alle battute a sfondo sessuale che sembrano un male inestirpabile dalle radio italiane. Penso piuttosto alla non conoscenza dell'inglese (e talvolta dell'italiano!). Non è possibile che nel 2013 ancora si sbagli la pronuncia di whiter mentre si annuncia un famoso brano dei Procol Harum. Non è veramente accettabile che chi lavora in radio (e ci metto anche il personale della mia emittente preferita, che mi fa accapponare la pelle più volte l'anno) non sappia parlare decentemente l'inglese. Non ho mai sprecato troppo tempo nell'acquisizione di una pronuncia perfetta, ma non lavoro in radio, e in ogni caso lo scrivo piuttosto bene. Qui c'è gente che arranca su frasi elementari, facendo sembrare Totò e Peppino (“Noio vùlevam savuar...”) mostruosamente attuali. Scommetto che sul curriculum di questi dj e giornalisti è riportato “Inglese-ottimo” o quanto meno “buono”. Se poi considerate che il 95% della programmazione è coperto da musica straniera, comprendete quanto fosca sia la faccenda. Nel dopoguerra i mezzi d'informazione ebbero un ruolo nell'insegnamento e nell'uniformazione della lingua italiana. Ora è meglio evitarli, o ti rovinano quel poco di inglese che hai imparato.

L'orrore, l'orrore


“Apocalypse Now!” è il mio film preferito. La versione che molti conoscono era un po' tagliata, ma il doppiaggio era strepitoso. Ieri sera io e Speck abbiamo guardato per l'ennesima volta il dvd della versione Redux, che contiene diverse parti tagliate (tra cui l'ormai imprecindibile, molestissima cena a casa dei francesi). Non mi ricordavo che il nuovo doppiaggio fosse così piatto e si discostasse tanto da quello originale. Posso dire di aver memorizzato buona parte delle battute e ogni cinque minuti mi toccava notare che qualcosa era stato cambiato. Il culmine viene raggiunto quando Kurtz (Marlon Brando) riferisce un episodio drammatico della guerra, tanto mostruoso che dice di essersi messo a piangere come “una vecchia nonna”. UNA VECCHIA NONNA?! Dio mio, nell'originale era una madre, UNA MADRE! Da brividi...

martedì 30 luglio 2013

Tutti contro le donne

Negli ultimi mesi abbiamo assistito a degli episodi raccapriccianti che coinvolgono donne impegnate politicamente: Laura Boldrini, Cecile Kyenge e Josefa Idem, rispettivamente presidente della Camera e ministri del governo Letta sono state sottoposte ai più vili attacchi: insulti, inviti alla violenza su di loro,volgari lanci di banane. Questo soprattutto in virtù del loro essere donne, del loro essere identificate da certa gente come esseri “deboli” incapaci di un'intelligenza sufficiente a consentigli di occupare i posti che occupano. Dà fastidio che queste siano donne di sinistra, ma soprattutto donne competenti arrivate in posti di prestigio grazie alle loro qualità e del loro lavoro. Tutte e tre si sono fatte strada nel mondo, la Boldrini all'ONU, la Kyenge come medico e amministratrice locale e la Idem come atleta, portando lustro a questo paese quando faceva comodo avere un commissario per i rifugiati italiano e vincere medaglie d'oro alle Olimpiadi; ma nel momento in cui queste stesse donne "mettono il becco" nella vita politica del paese, proprio perchè in gamba, sono viste come un pericolo. Non lo erano certo la Gelmini e la Carfagna, che sicuramente non avevano la stessa competenza (basta confrontare i curriculum) e per il posto in Parlamento hanno dovuto ringraziare un uomo. Buona parte degli maschi di questo paese non è in grado di accettare la competenza delle donne e si scaglia con questa cieca, insensata e brutale violenza per un semplice meccanismo di superiorità di genere che non accetta che una donna possa essere sua pari (se non superiore). Certo, anche alla Carfagna qualcuno ha scritto: “Ti buttiamo nella spazzatura” e non deve essere perdonato; tuttavia, paragonato a quanto è stato detto, urlato alla Kyenge (che ha proprio il ministero che fu della Carfagna) anche da persone che (ahimè) rivestono un ruolo istituzionale (e che nessuno ha fatto niente per far dimettere), suona come una minaccia di tirarti gavettoni di acqua e farina. E se c'è anche una donna che lancia questi insulti dementi non può che far rabbrividire, perchè significa che anche tra le donne c'è chi si trova d'accordo con la logica maschilista e che ritiene che le donne dovrebbero “stare al loro posto”.
E' questo il clima mostruoso in cui viviamo in Italia: coloro che denunciano decine di volte l'ex marito che le segue e le minaccia, spesso non ricevono alcun aiuto dalla polizia e una sera si trovano l'uomo in casa, che le accoppa e poi (bontà sua) si suicida. Mentre nei talk show in tv e sui giornali si sprecano a consigliare alle vittime di stalking di denunciare i loro persecutori, il senato italiano abolisce l'arresto per lo stalker.
Mi viene in mente “L'ultima eclissi” -tratto dal libro di Stephen King “Dolores Claiborne”- anche lì una donna era vittima di un marito violento e pedofilo che non voleva permetterle di essere autonoma e tentava di schiacciarla psicologicamente e fisicamente. Dolores ha dovuto imparare una lezione che oggi sembra sempre più urgente far propria, se si è donna bisogna accettare di doversi difendere da sole, perchè nessun altro lo farà.
Finchè questo paese non uscirà dal suo medioevo morale, finchè lo Stato e anche la chiesa non smetteranno di accettare che cose come queste accadano finchè le donne non saranno più consapevoli della loro importanza, dei loro diritti e della gravità di quanto accade, l'Italia resterà sempre un'italietta (la minuscola è d'obbligo), meschina e bloccata in un patetico passato che ormai esiste solo nella testa di certa gente.


domenica 21 luglio 2013

Is there a cure for the Summertime Blues?

Ultimamente riconosco una pericolosa ripetitività nella mia vita. Verso marzo, prima di Pasqua, comincio a sognare le vacanze e per maggio sono già febbricitante all'idea di mollare tutto e scappare dalla città. Quest'anno sono arrivata a giugno con un esaurimento nervoso, quindi anche il fatto di non partire per le vacanze (problemi di babysitteraggio di Lena) non mi ha sconvolto più di tanto (anche se mi dispiace per Speck, lui voleva tanto andare in Grecia), l'importante era non andare più in classe e non affrontare certe dinamiche di stress per un po'.

Purtroppo mi ero dimenticata di un'altra fase ricorrente che ogni anno puntuale si verifica. Infatti, appena calato il furore lavorativo e l'euforia dei primi giorni di libertà con le pizzate, i pomeriggi con le amiche, il riappropriarmi del territorio casalingo con pulizie di fino e magari una notte horror a casa del Pizza, mi sento sprofondare in una malinconia terrificante.
E' come se tutti i dubbi e i momenti difficili superati nell'anno scolastico appena concluso riemergessero dal recente passato come il Mostro dalla Palude Nera... Mi chiedo se sia normale ridursi tutti gli anni così, mi dico che avrei fatto meglio a lavorare meno e andare un po' in palestra. Mi chiedo se avrò abbastanza lavoro e la forza di ricominciare a settembre. Ancora peggio, dopo qualche giorno la prospettiva depressiva si allarga a dismisura e diventa un bilancio di vita. Ho fatto bene a non fare figli? Ho fatto bene a scegliere questa strada lavorativa? E' ancora qualcosa che mi piace fare? Ha senso quello che sto facendo? Il centro della mia vita può non essere il lavoro? Dov'è la reale gratificazione? Ha senso farsi queste domande? 
Ogni anno prendo la decisione di pensare di più a me,di fare passi misurarti e non farmi più coinvolgere tanto dalle dinamiche scolastiche, mi riprometto di pensare a me stessa. F ogni anno mi ritrovo a fare lo stesso giro. Sto iniziando a stancarmi, mi sento come un criceto che corre disperatamente dentro la sua ruota senza andare da nessuna parte. Mi duole dirlo, ma comincio a sentire la stanchezza nel corpo, anche se so che è qualcosa che deriva più dal mio stato mentale che effettivamente dall'età.

Insomma, non me la godo mai l'estate. In effetti non è mai stato un periodo particolarmente atteso, se non per le vacanze. So che queste crisi sono salutari, guai ad essere troppo sicuri o far finta che vada tutto bene, ma mi rendo conto di essere bloccata e vorrei che il prossimo anno fosse veramente diverso, dare una svolta a questa confusione, pensare a cose diverse, dire cose diverse e fare cose diverse, divertenti e che abbiano un senso. Non so se ci riuscirò, ma peggio ancora, ormai non so neanche se ci proverò.

mercoledì 3 luglio 2013

Gemella Ciambella inorridisce: "The Future" di Miranda July

Una sera della settimana scorsa, zappando tra un canale e l'altro, io e Brötchen capitiamo per caso sui titoli di testa di "The future", il secondo lungometraggio di Miranda July.
A me, nonostante la condanna di Frittella, Pizza e della mia amica Pirrogena, il film precedente, "Me you and everyone we know", era piaciuto. Sara' stato il momento storico in cui l'ho visto ma mi ero sentita partecipe della lunaticita' dei personaggi e del guardaroba di Frau July. Dopo aver letto (2011) recensioni mega positive su "The future" avevo una buona aspettativa. Premetto che ho visto il film tradotto in tedesco.
Il film inizia con Sophie, un'insegnante di danza per mocciosetti (Miranda July) e Jason (Hamish Linklater) un lavoratore di call center da casa, seduti sul divano, ognuno preso col suo mac book. Dopo un breve ma intensamente verboso dialogo, Jason dice di poter fermare il tempo e i due giocano come se la cosa fosse vera, fino a che un cliente di Jason telefona.
Sophie e Jason decidono, forse per noia, di dare un senso alla loro vita adottando un gatto dal rifugio locale. Adottano un micino malato di reni e all'inizio sono giubili: renderanno gli ultimi mesi di vita della creatura memorabili. La veterinaria pero' trattiene il peloso per un mese in cura e li informa che se il cucciolo verra' curato con le dovute attenzioni (praticamente costanti), potrebbe sopravvivere anche cinque anni. Improvvisamente i due si fanno prendere dal panico: non avevano pensato di doversi impegnare per cosi tanto tempo.
Tornati a casa i due iniziano a blaterare sul tempo, sul futuro, sul fatto che essendo entrambi 35enni, quando il gatto sara' morto e loro potranno "ricominciare a vivere", saranno gia' 40enni e i 40 sono i nuovi 50. Improvvisamente si trovano a fare i conti con due vite buttate:a 35 anni non hanno un lavoro come lo vorrebbero (anche se magari non sanno nemmeno quale potrebbe essere) e una sensazione di ineluttabile fallimento li inghiotte.

A questo punto i due hanno una geniale idea: usare questo mese che gli resta di "vita" per cercare di cambiare la loro esistenza. Jason butta alle ortiche il lavoro e dopo poco anche Sophie si licenzia. Jason trova "lavoro" come venditore di alberi e fa amicizia con un aziano signore che scrive poesie oscene e dispensa buoni consigli. Sophie telefona ad un numero trovato su un foglio di carta ed entra in contatto con un uomo single sui 45 anni che vive nella periferia borghese con la figlia di circa 10 anni. Il tipo sembra uscito da Twin Peaks, superficialmente normale ma sottilmente perverso. Sophie va a letto con lui e inizia una relazione.
Intanto il gatto, dalla sua gabbietta, interviene qua e la' (con una vocetta inquietante e fastidiosa) per filosofeggiare sul tempo e l'universo.
Da qui in poi tutto precipita, il rapporto tra i due protagonisti si corrode fino alla rottura. 

Ho aspettato con ansia il momento in cui il film avrebbe fatto il salto, avrebbe preso quella strada che mi avrebbe fatto dire "Bello", in cui questo marasma di idee avrebbe offerto la soluzione della vicenda e invece quel momento non e' arrivato, il film e' finito e io ho rimpianto di averlo visto. 

Miranda July e' solo al suo secondo lungometraggio ed e' nota come artista multimediale, performance artist, etc. Che i suoi film (e probabilmente anche le opere artistiche) non siano per "tutti" ci sta, tuttavia questa volta anche io che ero sua fan, l'ho trovata indigeribile.
Dato che ho vissuto una situazione di sbandamento e mi misuro ogni giorno sulle incognite del mio futuro, direi che e' lo spunto iniziale ad essere ridicolo: mentre l'eta' media delle persone si e' allungata ed in realta' si e' giovani piu' a lungo, i due personaggi, come vivessero agli albori del 1800, pensano che a 35 anni sei gia' all'anticamera della vecchiaia. In realta' i 40 sono i nuovi 30!
Inoltre, in un periodo in cui moltissime persone cambiano la loro vita buttando alle ortiche il lavoro e re-iniziano da un viaggio, da una attivita' indipendente o facendo una follia, i due protagonisti restano a casa o cercano un nuovo lavoro (passano da una schiavitu' all'altra). Tutto cio' e' anacronistico e autistico, soprattutto oggi giorno che la mobilita' tra i paesi e' diventata una quotidianita'.
Nei dialoghi i personaggi spiegano tutto ma non risolvono niente: sono cosi irritanti e imbarazzanti che bisogna proprio far forza su se' stessi per continuare a guardare il film.
Allo stesso modo ci sono tantissime scene lasciate inconcluse e senza l'effetto finale. Qualcuno l'ha definito ellittico, a me sembra incompleto. E di fatti anche il finale e' un "nulla di fatto": il gatto, dimenticato dai due al rifugio, viene soppresso (pratica purtroppo in voga negli USA), Sophie torna a casa e Jason la lascia dormire li' una notte. Sara' davvero cosi? oppure i due si riconcilieranno? Di fatto ritornano da dove erano partiti.

Miranda July dissemina ovunque scenette di „realismo magico“, come Jason che ferma il tempo per impedire che Sophie finisca di parlare e lo lasci; la maglietta preferita di Sophie che, dotata di vita propria, la segue fino a casa del suo amante; i racconti del gatto; una sequenza esilarante con Sophie che alla reception della scuola di danza vede le sue amiche restare incinta, avere i figli, crescerli e infine i figli adulti che a loro volta hanno figliato, dandole in pochi secondi l'impressione che lei restera' sempre al „via“. Tuttavia queste „scenette surreali“ restano freddi esercizi di stile e aumentano solo la snervante sensazione di inconcludenza.
Irrita la piattezza e la freddezza dei personaggi, la loro inettitudine e mancanza di emozioni, il loro dibattersi in una sola espressione facciale. Miranda July abusa del suo status: ci sbatte in faccia il suo look da flapper girl anni 20', i suoi occhi da cucciolo che chiede protezione, la sua boccuccia a cuore, il suo corpo anoressico. Spesso le scene in cui e' coinvolta, diventano uno showcase delle sue performance (come la scena della maglietta) e sembra farsi della sottile publicita'. Sembra perennemente fragile ed insicura, tanto che si desidera darle un calcio nel sedere per farla reagire. E' onnipresente e fa tutto, anche la voce (FASTIDIOSISSIMA) del gatto.

Miranda July sa di avere un senso dell'umorismo „Witty and Wimsy“, sa che il suo surrealismo affascina ma il dubbio e' che ne sia troppo conscia e ne stia abusando. Quanti film riuscira' ancora a fare prima che anche i suoi fan piu' accaniti si stufino? Piu' che poliedrica, rischia di diventare una „artista confusa“ in grado di fare una cosa sola ma con mille tecniche diverse (Film, performance, scrittura, etc.). Guardate per esempio il suo sito e il blog del film: non pensate che voglia dire e fare troppo? Non vi disturba, come disturba nel film, questo costante bisogno di spiegare e di creare e definire concetti e letture recondite? Il simbolismo lo hanno usato molti grandi registi ma non in modo cosi manierista e narciso.
Miranda July mi ricorda un gruppo musicale americano, i They Might Be Giants: ogni loro disco contiene piu' di 24 canzoni, tutte brevi, tutte con uno stile diverso, tutte surreali e con un codice da decifrare. Mi sono piaciuti molto ma dopo il quarto disco mi sono stufata perche' non c'era un'evoluzione nel loro lavoro, nonostante cambiassero strumentazioni e arrangiamenti il concetto era sempre lo stesso del „mercatino delle pulci“. Allo stesso modo le opere di Miranda July minacciano di essere tutte piccoli gioielli di surrealismo e comicita' se presi singolarmente ma insieme formano solo un guazzabuglio senza capo ne' coda, senza uno sviluppo. Esattamente come i suoi personaggi, la July non si evolve, non cresce artisticamente.
Il film, in un periodo di cosiddetta „crisi mondiale“ (che pure nel 2011 era gia' avanzata) e' anacronistico, autistico, pessimista piu' del dovuto, presenta due personaggi apatici ma un pubblico che tocca tutti i giorni la miseria e la paura del futuro, che deve per forza avere coraggio, non puo'che disprezzarli e trovare il film una pirlata.

Se potessi parlare con lei, signora July, la incoraggerei ad uscire e camminare nel mondo: esca dal suo bozzolo, dimentichi le sue opere incentrate solo su se stessa e sul suo mondo autistico. Si apra al mondo vero, si trovi COLLABORATORI per i suoi progetti. Combatta il suo bisogno di protagonismo per essere riconosciuta e in qualche modo amata. 
Il mondo e' pieno di gente fantastica e lo scambio ALLA PARI e' necessario per non restare in una bacheca al museo dei picchiatelli, con una etichetta eternamente appiccicata addosso. Cerchi la passione, si INNAMORI, si distacchi dal concettualismo, faccia qualcosa lontano dal suo "personaggio".
Si evolva.

Interessante: un blog di odio verso Miranda July.

A message to you, Miranda




giovedì 27 giugno 2013

Uccidete Tony Pisapia!

C'era una volta un bravo regista italiano, anzi, il miglior regista italiano: era fantasioso, brillante, rigoroso. Sapeva girare e sceneggiare. Creava film che andavano forte anche all'estero ed era responsabile della scoperta cinematografica dell'attore più fico della galassia. Un giorno però, arrivarono dallo spazio gli ultracorpi, e nel giro di una notte sostituirono il miglior regista italiano con un regista di videoclip dalle idee confuse. Nessuno se ne accorse e l'ultracorpo continuò a girare film come aveva fatto prima il suo ospite, producendo però delle pompose scemenze. Ecco, se le cose stessero così potremmo almeno in parte scusare Paolo Sorrentino per "La grande bellezza". Purtroppo non ci sono baccelloni nel suo giardino, quindi dobbiamo credere che fosse nel pieno delle sue facoltà mentali quando ha scritto, sceneggiato e diretto questo film.

Jep Gambardella è uno scrittore che ha pubblicato un solo libro di grande successo. E' una sorta di Oscar Wilde napoletano in trasferta permanente a Roma. Elegantissimo, mondanissimo, il suo compito è guidarci alla scoperta della decadente capitale d'Italia tra (tante)feste in discoteca, serate in terrazza a scambiarsi cattiverie con gli “amici”, scopate volanti con questa e quella, sedute da un dottore che spiana le rughe con una miracolosa siringa. Jep è figo, a tratti cafone, si aggira nei salotti romani con l'aria di chi tutto ha visto e di nulla si sorprende più. Si confida solo con la sua redattrice Dadina, anche se a nessuno parla delle sue sofferenze, della solitudine, della sua ricerca della grande bellezza persa di vista tra drinks e discoteche. E' un cinico che si lascia vivere, pur tra gli agi; è stato deluso da tutto e dall'amore prima di ogni cosa: ha amato una sola donna la quale lo ha lasciato e -pur continuando ad amarlo- ha sposato un altro uomo. Egli vede la disperazione attraverso la patina di allegria e lusso delle feste in terrazza, prova simpatia e sincera commozione per il prossimo, ma non interviene mai, rimane un osservatore. Aggiungiamo che Jep Gambardella è Toni Servillo e la domanda verrà spontanea: perchè questo film non m'è piaciuto e anzi, mi ha fatta imbestialire? Vediamo...
Toni Servillo, lui sì che è una bellezza...

Prima di tutto, “La dolce vita”: io il film di Fellini non l'ho mai visto (beh, non tutto intero) e certamente non posso giudicare la più volte citata somiglianza con l'opera di Sorrentino, ma trovo che tutta l'ambientazione, i personaggi e la storia siano mostruosamente scollati dalla realtà attuale. Mi faccio casalinga di Voghera e chiedo: ma in questo momento storico, con tutti i problemi che ha il nostro paese, a noi cosa ce ne importa dei salotti romani e della loro falsità, di un'artista concettuale che sbatte la testa contro i piloni di un acquedotto romano e -scusate tanto- della malinconia di uno che passa la giornata a dormire, bere e scegliersi i calzini e le cravatte? E' di questo che abbiamo bisogno? Il regista dice che Jep simboleggia l'Italia e il suo spreco di talento, ma non mi convince: il massimo della discesa infernale di Gambardella è avere in casa gente che pippa cocaina (purtroppo, non c'è proprio niente di sorprendente in questo) e pagare una coppia per guardarli mentre fanno sesso. Un po' pochino, considerato com'è diventata Roma negli ultimi anni e le cose a cui ci hanno abituato i telegiornali nazionali.
I personaggi sono spesso scontati: Stefania, la giornalista di sinistra che ha fatto carriera grazie al partito (si mormora che sia una metaforica Palombelli), quasi una radical chic, Viola, l'amica ricca senza arte né parte afflitta per la malattia mentale del figlio (un simbolo della gioventù italiana schiacciata dal proprio paese), Ramona, la spogliarellista quarantenne dall'animo sensibile con cui il nostro eroe intesse una specie di relazione che (letteralmente) naufraga sull'Isola del Giglio insieme alla Costa Concordia (Alan Alda in “Delitti e Misfatti” definiva l'umorismo tragedia più tempo, qui con innegabile cattivo gusto c'è solo la prima) sono prevedibili, i loro comportamenti scontati. Carlo Verdone è bravo nella parte dello scrittore in crisi che corre dietro a una bruttona piena di sé, ma fa pur sempre un personaggio di Verdone, ci mancherebbe pure che non fosse bravo.
Il linguaggio è irritante: tutti, ma soprattuto Jep, parlano per aforismi, distribuendo perle di saggezza dimenticabili, banalità che chiunque, osservando i protagonisti, potrebbe coniare. L'intervista di Jep con l'artista concettuale vorrebbe essere uno scontro tra concretezza e inutile astrazione, ma diventa un crudele e neanche troppo raffinato esercizio di dialettica da parte di Gambardella. E poi troppe “telefonate” e troppe spiegazioni (tra le più atroci la “bacchettata” di Jep a Stefania che si vanta di essere una che si fa un mazzo tanto per essere madre e donna di successo e il dialogo finale con la “Santa”) di cui lo spettatore non ha bisogno, perchè le immagini e la storia dovrebbero già essere in grado di trasmetterle. Penso ai “Mostri” di Dino Risi e a “Il dottor Guido Tersilli” e “Finchè c'è guerra c'è speranza” del tanto vituperato Alberto Sordi, lì nessuno faceva proclami eppure si capivano benissimo le intenzioni degli autori. La verbosità che già aveva contraddistinto “This Must Be The Place” tocca qui uno zenith.

Una cosa fa piacere, vedere tante facce “vecchie”: la Ferilli appesantita, Serena Grandi sfatta, la sempre grande Iaia Forte scoppiata, caratteristi divenuti famosi nelle commedie anni 80 con un bel po' di rughe in più; sono volti più veri e questa è forse la sola novità del film, protagonisti over 45 che per una volta non devono sembrare più giovani ma limitarsi ad avere la propria età. Stona allora la scelta di un giovane Jep e della sua prima e unica fiamma dai faccini che sembrano usciti da un video dei One Direction, e atterrisce la scena in cui lei, donna amata per tutta la vita, donna angelicata e perfetta apre bocca (per dire qualcosa che Gambardella ricorderà con lo sguardo perso e gli occhi a forma di cuore) e parla come una bimbaminchia.

Eppure gli elementi del cinema di Sorrentino ci sono, surrealtà, la sospensione di certi istanti, in un paio di scene pare rivedere il regista de “Il Divo” e di “Le conseguenze dell'amore”, ma sono momenti. Sorrentino ripete sé stesso con un manierismo senza senso, cerca di clonarsi anche se probabilmente è venuto il momento di cambiare. Jep Gambardella altri non è se non il Toni Pagoda dei due libri pubblicati dal regista, che a sua volta è Tony Pisapia de “L'uomo in più” (ricordate il monologo finale?): interessante e affascinante visto che lo interpreta Toni Servillo, ma forse ormai incapace di dire cose nuove. Uccidilo, Paolo, lascia libero Servillo di interpretare per te nuovi personaggi, lascia perdere le mega produzioni con invadenti sponsor e fai un film con quattro soldi, una buona, semplice, onesta sceneggiatura e pochi attori. Ritrova te stesso, perchè così non ti riconosco più.

venerdì 24 maggio 2013

Happy Birthday!!!

Taumaturgico...Bob Dylan
Oggi è il fausto compleanno di BOB DYLAN. So che non leggerà mai queste righe, ma lui lo sa che noi lo amiamo. E ce ne dà prova. Infatti, proprio oggi il calcolo renale che ha portato Ciambella in ospedale un paio di giorni fa e per il quale stava per essere operata è stato espulso senza necessità d'interventi esterni. Evviva!!! Grazie Bob, Buon Compleanno!!!

lunedì 29 aprile 2013

Come ho perso la guerra...e vinto lo stress

Voi non lo sapete, ma questi ultimi mesi sono stati -lavorativamente parlando- devastanti. A parte la coordinatrice di una cooperativa che mi sta col fiato sul collo, due ragazzini di cui mi occupo mi hanno fatto impazzire: sono una coppia, in classe e fuori, vengono a scuola perchè così almeno s'incontrano, ma non hanno una vera motivazione. Quando sono insieme non fanno che divagare e chiacchierare, e due o tre volte sono stata costretta a fare la faccia cattiva. Nonostante abbia spiegato loro il motivo per il quale mi arrabbio, non solo non ho ottenuto risultati, mi sono pure sentita dire che lavoro male e la ragazza non mi vuole più come assistente perchè dice che la spavento (moi?).                                                                                Per me, che non godo proprio di un'autostima prorompente, sono stati giorni bui, mi sono disperata, ho iniziato a cercare un altro lavoro e col morale sotto le scarpe ho continuato mestamente ma ostinatamente la mia opera di educatrice. Finchè non ho avuto un'illuminazione. Infatti, ho appena finito di leggere l'autobiografia di Andre Agassi. Anche se io lo ricordo come un megacampione, pure lui, col suo talento, per anni e anni continuava a perdere e passare da una crisi esistenziale all'altra. Finchè non ha incontrato Brad Gilbert, un ex giocatore di tennis che pur avendo poche qualità (rispetto ad Andre) è riuscito a farle fruttare al massimo. La teoria di Brad riguardo al gioco di Agassi era pressapoco questa: "Tu perdi perchè vuoi essere perfetto, vuoi stravincere. In realtà ti basta lasciar perdere gli avversari". In altre parole, fai male perchè vuoi essere il migliore, ma basta vincere e ogni colpo non deve essere per forza perfetto. Ho visto la luce. Mi sono guardata da fuori e mi sono chiesta: Perchè mi pesa tanto seguire questa coppia? Perchè sono tanto frustrata e i miei sforzi non vengono ripagati? Risposta: perche loro non hanno voglia di fare un cavolo e tu vuoi che ne abbiano voglia, tu vuoi che riescano, che abbiano successo, ma a loro non gliene frega niente. Tu vuoi essere perfetta, la migliore, ma non serve.
Brad Gilbert!
Andre Agassi!
Tutto mi è stato chiaro, e da quel giorno seguo il precetto di Brad Gilbert: lavoro, al meglio come sempre, ma non m'impongo, non pretendo che questi adolescenti sciagurati mi diano la loro attenzione: la scorsa settimana in due ore non abbiamo letto 50 righe di testo, stamattina in un'ora non sono arrivata a spiegargli neanche la vita di Maometto. Hanno fatto una cifra di digressioni inutili che hanno compromesso la spiegazione, e sapete una cosa? Li ho lasciati fare, non mi sono preoccupata dei loro risultati, non mi sono preoccupata di niente. D'altronde non è compito mio. Match Point! Sto benissimo, mi viene da ridere, ridere, ridere. Continuerò così fino alla fine dell'anno scolastico, sarà meraviglioso.  Grazie Brad, grazie Andre, vi voglio bene.

venerdì 12 aprile 2013

Brevissimo incontro

Oggi Pasqualino ha cambiato ancora casa. Purtroppo la convivenza con Lena non ha funzionato.
Avevamo lasciato i nostri eroi domenica scorsa che si soffiavano e poco altro. Pensavamo funzionasse. Lena sembrava aver accettato il nuovo arrivato, gli annusava il lettino, aveva assaggiato i suoi crocchini, non sembrava turbata più di tanto. Non aveva nemmeno protestato quando Pasqualino aveva fatto pipì nella sua sabbietta (cosa che per esempio Miciccia non tollera).
Martedì sera stavamo preparandoci alla cena quando Pasqualino e Lena si sono incrociati nel corridoio e lui l'ha attaccata. Speck ha cercato di separarli e quando si sono mollati lui aveva una ferita che gli attraversava trasversalmente il naso mentre lei era stata colpita sul lato inferiore dell'occhio. La ferita era piccolissima, ma ci siamo spaventati e l'abbiamo portata al pronto soccorso, dove hanno verificato che non ci fossero danni gravi all'occhio (meno male) e poi abbiamo disinfettato (non senza qualche resistenza) Pasqualino. A questo punto però, visto il rischio corso da entrambi non ce la siamo sentita di proseguire il tentativo. Da martedì sera Pasqualino ha vissuto chiuso in salotto, cosa che non gli dispiaceva, ma Lena ha bisogno di compagnia e lei non si è arresa all'idea di non poter entrare in una parte del proprio territorio. Così la padrona di Pasqualino s'è messa in moto e ha trovato una soluzione diversa. Sono molto triste, perchè questo micetto è veramente dolce e affettuoso, basta che ti siedi e ti salta in braccio, è coccolone, ha bisogno di essere amato. Spero che la nuova soluzione non sia troppo scomoda e che chi lo prenderà con sè sarà degno del suo affetto. Chiederò se posso andarlo a trovare. Mi dispiace veramente tanto e mi manca.

lunedì 8 aprile 2013

L'ospite venuto da caldo

Da ieri abbiamo un altro gatto, Pasqualino. Non è nostro ma di una nostra amica che deve lavorare qualche mese in Sardegna e non può portarselo dietro. Per diversi mesi gli ha cercato una sistemazione, ma tutti suoi tentativi sono falliti. Era ormai rassegnata a lasciarlo a casa da solo pagando una persona per dargli da mangiare, ma Speck, all'ultimo secondo s'è alzato dal divano ed ha invocato "Ce lo prendiamo noi!". Io sono ben contenta, uno dei miei slogan preferiti è Tanti gatti, tanto amore. Così Pasqualino arriva in taxi portato dal nostro amico parrucchiere: è un gatto abbastanza magro dal muso allungato, ed ha una storia particolare. Infatti viene da Dubai, la sorella della nostra amica lo ha raccolto perchè in quel paese non ci possono essere animali randagi, anche se microchippati se vengono trovati e catturati sono destinati alla soppressione (che gente...). Il problema è che Pasqualino non si è integrato con gli altri gatti della sua salvatrice, che lo menavano di santa ragione. Di qui la decisione di espatriarlo. Ora un altro cambiamento, e si sa che per i gatti cambiare è difficile. Con noi però è molto affettuoso. Ma so cosa vi state chiedendo: Lena che ne pensa? In realtà a parte un paio di soffiate lei è una paciosa bambolona pelosa, le piace ispezionare gli averi del nuovo arrivato (lettino, sabbietta, un'assaggiata al cibo...) ma Pasqualino dopo una giornata tranquilla, ieri notte s'è scatenato, l'ha inseguita e hanno avuto uno scontro sotto il letto. Alla fine abbiamo dovuto chiuderlo fuori dalla camera ignorando i suoi tentativi per entrare. Oggi Speck ha attrezzato una stanza solo per lui e stasera dormirà da solo, anche se non gli fa piacere. Speriamo che imparino a convivere! A breve posterò qualche foto...

sabato 6 aprile 2013

Aprile...

Come ogni anno sono esausta. Comincio a capire che il lavoro a scuola è distruttivo, e ti fa arrivare a fine maggio completamente a terra. Quest'anno in realtà è stato durissimo, e per molti motivi: prima di tutto l'incertezza: fino ad ottobre avevo un solo caso da seguire, ovvero circa 200 euro al mese. Poi ne sono arrivati altri, ma mi rendo conto che sono troppi. Non importa quanto poco possano fruttare, il peso psicologico è veramente eccessivo. Io poi non riesco ad accontentarmi, e al lavoro ho aggiunto una cifra di attività che richiedono concentrazione e tempo per dedicarvisi in modo adeguato. Troppo tardi, troppo tardi. Ho talmente tante cose da fare che mi trovo in stato confusionale, man mano che si avvicina giugno mi sento sempre più a pezzi e vedo la fine della scuola come un miraggio...Forse non ci arriverò. E se ci arriverò poi verrà l'estate, e le crisi di nervi per la mancanza di certezze per il futuro anno scolastico, e via così...Cielo, ho più di 40 anni...quanto tempo posso resistere così?

venerdì 29 marzo 2013

Commenti

Una piccola comunicazione di servizio. Nei giorni scorsi un amico mi ha segnalato un commento scorretto in uno dei post di questo blog. Per questo motivo ho inserito l'opzione di notifica via email dei nuovi commenti ed il captcha. Ho scoperto oggi che con la prima i commenti vanno autorizzati prima di essere pubblicati. Spero che questo non vi scoraggi ancora di più dal lasciare commenti, siete già in pochi. Purtroppo quando anche spazi minimi e per me innocui vengono presi d'assalto da spam e scorrettezze varie, bisogna almeno provare a difendersi.

giovedì 28 marzo 2013

Ingleserie

C'era una volta la commedia inglese: negli anni 60 e 70 ci aveva regalato pellicole come l'insuperato "Il ruggito del topo"(con diversi Peter Sellers), il delirante "La classe dirigente" (con Peter O'Toole) o assolutamente folli come "The magic cristian" (con Sellers e Ringo Starr), che puntavano un ditino cattivo e minaccioso sulla società -soprattutto britannica- e sulle fissazioni di un mondo e di una società allora in trasformazione. Nel decennio dello yuppismo si era convertita a temi contemporanei, come le lotte sindacali ("Grazie Mrs Thatcher") o le droghe ("Trainspotting"); la vecchia Inghilterra delle signore per bene che bevono tè con le amiche in salotto veniva spazzata via dalla classe operaia britannica, cialtrona, sguaiata e appassionata alla birra più che agli infusi. La cosa inizialmente funzionò, ma dopo gli anni 90 ("Full Monty", "The commitments") questo filone cinematografico si appannò, probabilmente a causa di una certa ripetitività e della scelta di storie romantiche tutto sommato abbastanza prevedibili anche se interpretate da divi ("Notting Hill"). Negli anni 2000 la commedia inglese ha subito il fascino del vintage: è il caso di "I love radio rock", la storia vera di una radio che negli anni 60 trasmetteva da una nave tutti quei pezzi musicali che venivano censurati dalla BBC, e questo "We want sex equality" che prende spunto dallo sciopero del 1968  di 187 operaie della fabbrica della Ford di Daghenham, le quali oltre a lavorare in condizioni assurde, venivano pagate meno degli uomini per la sola ragione di essere donne.

L'episodio è molto interessante, ricostruito in modo abbastanza realistico cercando di non alterare i fatti ed i personaggi caricandoli di un'eccessiva caratterizzazione: soprattutto la protagonista Rita O' Grady (interpretata da Sally Hawkins), pur passando attraverso una trasformazione che la rende più consapevole dei propri diritti e della propria importanza, non diventa una superdonna, rimane credibilmente attaccata alla concretezza della vita. Più immaginati sono forse i funzionari del sindacato, soprattutto quelli "cattivi", che non appoggiano Rita e le colleghe, ma anche Albert Passingham, interpretato da Bob Hoskins, lui però si può permettere questo ed altro.
Tutto funziona, sceneggiatura, recitazione, fotografia, colonna sonora (che ovviamente contiene diversi  successi del tempo), finale. Nonostante ciò in qualche modo il film non fa il botto, non entusiasma: sarà perchè vengono delineati con forza solo tre dei personaggi delle scioperanti mentre tutte le altre rimangono una massa indistinta di operaie caciarone; sarà che si ritrovano comunque alcuni stereotipi visti e stravisti, una per tutte la ragazza focosa e un pò sboccata (un pò come la Samantha di "Sex and the city"); sarà che effettivamente la questione della discriminazione di genere era ed è seria (nel film sono contenuti spezzoni di telegiornali dell'epoca in cui operai maschi si dichiaravano contro la parità di salario per le donne), e l'atmosfera a tratti diventa anche molto drammatica. O forse mancano la cattiveria e il divertimento che caratterizzano altre pellicole più brillanti. Proprio l'intento di mantenersi aderenti alla realtà degli autori è probabilmente il limite di questa storia, dove non si esagera mai, e se non si esagera non si osa.
Una scelta rispettabilissima che ha i suoi pregi, anche se le premesse erano un pò diverse. Vale comunque la pena di vedere questo film, soprattutto in questi tempi in cui la condizione femminile è tanto disgraziata, serve un piccolo promemoria di quello che unite siamo capaci di fare. E a proposito di questo vi informo che il titolo originale è "Made in Daghenham", mentre "We want sex - equality" è il titolo italiano che si ispira ad un episodio del tutto marginale del film (per altro sfruttato ampiamente anche dalla pubblicità) in cui uno striscione con questa scritta viene srotolato a metà producendo l'ilare messaggio "We want sex". Paradossale.

domenica 17 marzo 2013

Canzone

Che periodaccio. Non riesco a trovare un filo di positività per andare avanti, alle devastanti vicende politiche si aggiunge la constatazione che le nuove generazioni (gli adolescenti di oggi) sono una massa di ignavi e radical chic da cui non ci si può sperare che facciano meglio dei genitori e una crisi d'intenti professionali che rischia di annullare un quinquennio di lavoro duro e di studio.

Così, anche se i "MINISTRI" non mi sono mai piaciuti, anche se li trovo per niente interessanti (soprattutto come tecnica vocale e testi), quando ieri mattina ho sentito questa canzone alla radio, mi sono in qualche modo sentita chiamata in causa. In grassetto ho sottolineato le parti più vicine alla mia esperienza personale. Resta solo da decidere cosa fare del verso "Tanto vale provarci comunque".

MINISTRI-COMUNQUE

Che bella la tua nuova casa
che bella la tua nuova banca
ti prestano la penna e poi
poi non te la chiedon più
che belli i tuoi nuovi orari
ti chiedi come fanno i panettieri
che escon di casa prima dei giornali
i giornali che non leggi più
perchè hai trovato un modo per sfondare
e per non leggere neanche in digitale
che belli i tuoi progetti il tuo sudore
la tua fiducia cieca nel lavoro
che ci mobilita e che ci distrae
che ti conviene fare in fretta sai a sistemarsi prima che il mattone ritorni forte peccato che
la tua casa non vale niente
il tuo orologio non vale niente
il tuo vestito non vale niente
questa chitarra non vale niente
il tuo contratto non vale niente
la tua esperienza non vale niente
il tuo voto non vale niente

tanto vale provarci comunque
che bello avere un’idea forte e rincorrerla fino alla morte
e aver paura che cominci il giorno e che la luce ti cancelli il sogno
che bello che era averti attorno come aver trovato un posto al mondo
dove alla fine fare ritorno quando non ce un posto dove andare
e dai alla colpa a tutti anche a te stesso come se fossi il primo a galleggiare
ma non ce nulla che io possa fare se non svegliarmi e ripetere che
la mia casa non vale niente
il mio orologio non vale niente
il mio vestito non vale niente
la mia chitarra non vale niente
il mio contratto non vale niente
la mia esperienza non vale niente
il mio voto non vale niente
tanto vale provarci comunque
la mia casa non vale niente
il mio contratto non vale niente
tanto vale provarci comunque
la mia chitarra non vale niente
la mia esperienza non vale niente
tanto vale provarci comunque
tanto vale provarci comunque