giovedì 21 aprile 2011

Senza titolo

Scesi le scale ed entrai nel sottopasso che portava alla metropolitana. Mi trovai faccia a faccia col sindaco. Aveva addosso un gilet catarifrangente, teneva in mano il manico di uno scopettone e sorrideva ai passanti. Una pagliacciata, quando mai il sindaco si sarebbe messo a fare una cosa del genere? Che un’ idea tanto vecchia potesse ancora essere presa in considerazione per i cartelloni di una campagna elettorale era semplicemente ridicolo.
Ancora di più considerando che tipo era. In cinque anni si era visto solamente alle prime del Teatro dell’Opera e alla consegna dei “Tombini d’oro”, i premi ai benemeriti della città. Sicuramente comunque non si era fatto mancare le occasioni più strettamente mondane dove c’era un ricco buffet. 
Ora invece era costretto a portare la sua permanente ed i suoi abiti sartoriali in mezzo alla “gente”, quelli che giravano per la città come scarafaggi abbruttiti mentre lui si spostava in macchine con autista.
Doveva sporcarsi le mani ed esserci, farsi vedere. Dunque via per comparsate a varie, inutili, noiose manifestazioni (alcune create apposta per rilanciarlo elettoralmente) in cerca di facce a cui sorridere, mani da stringere (ma non troppo che gli si rovinavano le unghie), menti da cui lavar via non solo il ricordo di una gestione patetica della città, ma anche dei vari scandali e disastri che avevano l’avevano costellata. Cercava disperatamente di sembrare umano.
“Sorridi!” gli dicevano “Sorridi!” e lui sorrideva, fino a sfiancarsi la faccia, deformandola come mai si era visto.
Dalla campagna mediatica l'imbarazzo emanava come le lacrime dalle madonne piangenti. Guardavo i cartelloni fiorivano sui muri della città: il sindaco spazzino, il sindaco ingegnere, col caschetto che riportava il simbolo di una linea metropolitana che non si sapeva quando sarebbe stata conclusa né con quali soldi sarebbe stata pagata; il sindaco ecologo indicava un punto nel futuro ad un gruppo di bambini con dei cappellini colorati e gli prometteva che la città sarebbe stata più verde (anzi, lui sosteneva che già lo fosse); e poi il sindaco amico delle famiglie, che abbraccia affettuoso un altro gruppo di pargoli che sembrano sotto ipnosi mentre le mense scolastiche servivano lasagne pelose e le scuole non avevano fondi per comprare la carta igenica. 

Sempre guardandomi con quel sorriso congelato, paralizzato, agghiacciante. Lui che avevo sempre visto serio, altero, improvvisamente tentava di sembrare simpatico e l'unico modo che conosceva per farlo era irrigidire la mandibola, spalancare gli occhi e scoprire i denti, come l’allucinato Joker di Barman o un pagliaccio di MacDonald sotto anfetamine.
Ecco, si era trasformato, si era fatto piccolo piccolo, voleva essermi amico, con quel sorriso, mi tendeva una mano dalle unghie laccate e mi chiedeva di votarlo, per favore.

Ma quell’inchino non era un umile rimettersi al giudizio dell’elettore. Piegava la testa sì, ma si trattava di un gesto calcolato, limitato, una riverenza di cortesia che gli serviva ad ottenere altro tempo per continuare a farsi i fatti suoi. Gli occhi erano spalancati, vigili, pronti a saltarti alla giugulare qualora non l’avessi accontentato.

Rabbrividii. Meglio muoversi o sarei stata in ritardo.

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