lunedì 23 gennaio 2012

Il Grinta!

Ecco un altro di quei film che quando arrivano in sala mi dico "QUESTO è da vedere!", e poi per qualche motivo (nessuno viene con me, ad esempio) mi perdo. Ma i Fratelli Coen sono sempre da recuperare e così ho approfittato dei saldi per portarmi a casa il dvd e imporre immediatamente la visione domestica.

"Il Grinta" è una storia iniziatica al femminile: gli eventi ruotano attorno ad una coraggiosa ragazzina che assume lo sceriffo Rooster Cogburn, macilento ed ubriacone, per catturare e portare all'impiccagione l'uomo che ha ucciso suo padre. La piccola Mattie Ross è come Alice nel Paese delle Meraviglie, una ragazza con tanto buonsenso e le idee chiare, in un mondo spietato, ma incredibilmente surreale.

Tutto rientra nei canoni di un cinema western raffinato e classico, almeno per la prima parte del film, in cui sono raccontati i giorni in cui Mattie arriva nella città dove si trova la salma del padre e provvede alla spedizione alla fattoria da cui proviene, la conoscenza ed il complicato reclutamento del Grinta (da non perdere la contrattazione col mercante di cavalli) non troppo propenso ad accettare il lavoro.
Poi, quando finalmente si parte, inizia una specie di delirio: Cogburn cerca di andarsene senza di Mattie, e quando lei lo raggiunge col suo cavallo Tuttomatto attraversando il fiume, è come se fosse battezzata, entra in una nuova dimensione.
Attraversano un bosco in cui incontrano un uomo impiccato in cima ad un albero altissimo, un indiano di cui non si vede la faccia ed un dentista ambulante travestito da orso. Poi giungono in cerca di notizie del fuggitivo ad una capanna che ricorda quella de "La casa" e "Non aprite quella porta".

L'inseguimento del criminale prosegue con sparatorie, omicidi, assurdi racconti di vita di Cogburn, le sue sbronze ed i litigi con il Texas Ranger  La Boeuf, anche lui sulle tracce dell' assassino, mentre Mattie (proprio come Alice) tenta di tenere insieme tutto quanto e domare con la sua intelligenza le mattane di tutti e due. Non solo, la sua sola presenza sulla scena degli avvenimenti è una sfida al mondo degli uomini del quale non si fida per avere giustizia.
Il paesaggio che si fa sempre più straniante, in cui non s'incontrano città ed i personaggi spiccano per le loro caratteristiche fisiche e comportamentali, contribuisce ulteriormente a questa sospensione di realtà, e più ci si addentra nella storia più le immagini, sebbene reali, diventano simboliche, visionarie. La parte finale assume il contorno proprio di un sogno, in cui l'infanzia muore e Mattie entra dolorosamente e definitivamente nel mondo dei "grandi".

Ovviamente questa è la lettura che ne dò io, ma è certo che questo film, più di molti altri dei Coen, è ricco di  sottintesi, di cose non dette ma sospettate, di simboli. 
Non ci sono sbavature sentimentali, non c'è tenera comprensione per la piccola Mattie (la bravissima Hailee Steinfeld) cresciuta con durezza ma pur sempre bambina, non ci sono ricordi affettuosi (tranne in un'occasione) o parole che possano tradire la sua sofferenza,  e questo costringe a domandarsi come si possa sentire. Asciutta è forse il termine che più si adatta a questa narrazione, che per contrasto esalta l'interpretazione barocca di Jeff Bridges, ormai Drugo Forever, ridondante, cialtrone, ubriacone, menomato nell'uso della pistola dalla mancanza di un occhio, e a suo modo leale e coraggioso.

Il western, finchè ci sono film come questo, non morirà mai...

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