domenica 6 giugno 2010

IL DIBATTITO NOOOOO!!!

Un occhio di bue illumina un tavolo coperto di una stoffa rossa con due sgabelli. In fondo al palco si scorge un basso ponteggio, all'estrema destra c'è un microfono.
Due uomini, uno più giovane con l'aria molto seria e uno più vecchio vestito in modo più elegante entrano sulle note dell'intro di una canzone messicana. Il vecchio si siede mentre l'altro sale in piedi sul suo sgabello e comincia a cantare insieme al nastro "Cielito Lindo". L'uomo seduto comincia ad urlare "Sbasa la musica!" e la canzone cessa. I due uomini escono.
Entra dalla quinta opposta un barbone con delle coperte arrotolate sotto le braccia. Chiama "Cristo? Cristo?" finchè appare un tizio con capelli lunghi e barba che si mette a cantare (neanche male) "My sweet Valentine". Buio. Dal fondo della sala si sentono delle urla e due tizi arrivano correndo, dicono "Siamo qui! Siamo qui!", poi montano sul palco e si arrampicano sul ponteggio.

Benvenuti a teatro con Frittella e Speck in una serata di fine maggio. Questi siparietti sono l'inizio dello spettacolo "Gerundia Felix" della compagnia Piccolo Parallelo. Non avevamo la minima idea di ciò che andavamo a vedere, ma i biglietti erano superscontati. Ed ora ci sembra di essere precipitati in un film di Aki Kaurismaki.
Torniamo alla tavola vestita di rosso. I due uomini rientrano, quello giovane (biondo, coi capelli radi, un maggiordomo) comincia ad apparecchiare la tavola. Il vecchio inizia a parlare: esalta Bergamo e Brescia, poi però manda un pò a quel paese i bresciani. Colmo di una tronfia sensazione di superiorità, lascia che dalla sua bocca le assurdità razziste dirette agli extracomunitari, ed in particolare al suo dipendente Albanese, sgorghino come acqua da una fontana. L'altro uomo ascolta e non reagisce al montante delirio del suo datore di lavoro, versa del vino, sparecchia di nuovo la tavola.
Attacca "Cielito Lindo", il cameriere risale sulla sedia e ricomincia a cantare.
"Sbasa la musica!"
Mi sto chiedendo come mai ad un Albanese piaccia tanto la musica messicana.
Rientrano il barbone e "Cristo", il primo sembra aver veramente preso il secondo per il messia, s'inginocchia ai suoi piedi. L'altro non ci sta e lo caccia per poi cantare un'altra canzone.
Penso: "Cantano tutti, qui".
I due uomini sul ponteggio sono muratori, uno croato e l'altro bresciano o bergamasco. Aspettano la corriera per tornare a casa, perchè il loro "caporale" li ha abbandonati al cantiere.
E via così. Ricompaiono gli uomini della tavola, il vecchio ricomincia a sproloquiare racconta di essere malato di reni e di avere un figlio malato di cuore, l'altro non dice niente, poi inizia "Guantanamera" e allo straniero parte il trip del canto, se ne vanno, torna il barbone col Cristo canterino e poi i muratori. Una sequenza che si ripete all'infinito, senza sviluppi sostanziali. Alla terza apparizione degli uomini della tavola comincio a pensare di essere imprigionata in un buco temporale, come Bill Murray in "Ricomincio da capo", anche se le parole sono diverse tutto prosegue all'insegna della fissità.
Fino a che, fino a che...
Il maggiordomo parla! E sorprendentemente parla spagnolo! Come, non era Albanese?
Egli offre al padrone un sacco di organi che serviranno sia a lui che a suo figlio, compatibili, sani, certificati. Mmmmm...
L'Italiano accetta ed esce di scena e qui inizia la parte peggiore. Lo straniero legge una lettera che ha scritto a suo figlio (18 anni) in cui, come ad un bambino, spiega che papà sta partendo per un luogo lontano e non tornerà e che è meglio che se ne resti dov'è piuttosto che venire in Italia a fare la vitaccia che sta facendo lui.
E poi si spara.
Un finale terribilmente melodrammatico e abbastanza imbarazzante che ci lascia tutti un pò attoniti. Ci riprendiamo appena in tempo per applaudire e speriamo che non si vedano i tanti punti interrogativi sulle nostre teste.
Le intenzioni dello spettacolo sono buone e alcune parti sono ben scritte, perfettamente credibili, gli attori abbastanza bravi. Però è tutto...così...serioso, privo di comicità o cinismo, di elaborazione, privo forse del distacco necessario a trattare temi del genere.
Quando varchiamo la soglia del teatro abbiamo la sensazione di essere usciti da "Ecce Bombo". Meno male che non c'era il dibattito...

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